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Caccia, un bilancio (nero) della stagione in Calabria

Dopo oltre cinque mesi , sabato 10 febbraio, si è chiusa la stagione della caccia iniziata ai primi di settembre dello scorso anno. Si tratta del periodo più lungo concesso dalla Regione Calabria dopo l’entrata in vigore della…

Dopo oltre cinque mesi , sabato 10 febbraio, si è chiusa la stagione della caccia iniziata ai primi di settembre dello scorso anno. Si tratta del periodo più lungo concesso dalla Regione Calabria dopo l’entrata in vigore della legge quadro del 1992 e  nonostante il gravissimo problema della cronica carenza di vigilanza sul territorio, da sempre denunciato dal WWF, reso ancor più grave dall’abolizione delle Province e dall’accorpamento del Corpo Forestale dello Stato.
Tuttavia alcune operazioni mirate al controllo dell’attività venatoria  condotte  dagli organi di Polizia Giudiziaria in varie zone della regione, hanno confermato le gravi minacce che gravano sulla  fauna selvatica e la preoccupante violazione di alcune tra le regole fondamentali dell’attività venatoria. Basti ricordare la scoperta di un vero e proprio traffico di migliaia di  uccelli di pochi grammi, la maggior parte di specie protette, trucidati da cacciatori provenienti dal Nord e poi spediti da complici locali  per alimentare il piatto della “polenta e osei” (saranno ben contenti i paladini delle “tradizioni” e i fautori del “turismo venatorio” che consente ai novelli barbari di saccheggiare le nostre risorse naturali). Senza dimenticare la denuncia di cacciatori sorpresi nelle zone di divieto come i parchi nazionali, o il sequestro degli usatissimi e vietati (si fa per dire) richiami acustici per attirare le povere prede e fucilarle con facilità.
Ma, si badi bene, sarebbe del tutto fuorviante considerare il danno inflitto alla fauna limitatamente alle sole attività illecite, al cosiddetto bracconaggio, senza calcolare l’impatto di decine di migliaia di cacciatori che sono liberi di vagare e appostarsi anche nelle proprietà altrui e quindi su un territorio vastissimo, per cinque mesi e passa, dall’alba al tramonto (bracconaggio notturno a parte), per cinque giorni alla settimana e con una probabilità bassissima di essere controllati, vista la disparità delle forze in campo e le innegabili difficoltà logistiche legate al controllo del territorio.
Il tutto in un contesto di assoluta mancanza dei più elementari criteri di gestione faunistica, a cominciare dalla premessa fondamentale rappresentata dalla conoscenza dello status reale delle popolazioni cacciabili, cui dovrebbe fare seguito la fissazione di un tetto massimo abbattibile per ciascuna specie, raggiunto il quale l’attività venatoria andrebbe sospesa, pena la riduzione del potenziale riproduttivo della fauna. La Regione Calabria invece, al pari di quasi tutte le altre, si limita di anno in anno ad autorizzare e addirittura ad anticipare la caccia a specie sulla cui consistenza non si sa assolutamente nulla, fissando solo dei ridicoli “limiti di carniere” per singolo cacciatore, che, moltiplicati per il numero dei praticanti, significherebbero in teoria lo sterminio di tutto quello che potrebbe capitare a tiro: si badi bene, nel pieno rispetto della cosiddetta legge per la tutela della fauna!
Sarebbe come continuare a prelevare continuamente dal bancomat senza conoscere il saldo, con la differenza che non di banconote si tratta, ma di esseri che pagano con la vita il passatempo di altri.
Le organizzazioni aggregate del WWF in Calabria

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