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Transizione energetica, le grandi opportunita’ si chiamano rinnovabili

La ricerca di una giusta transizione che assicuri alle società una sostenibilità energetica e la dignità del lavoro è stato il tema affrontato oggi dal Simposio internazionale organizzato dal WWF e dalla Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale…

La ricerca di una giusta transizione che assicuri alle società una sostenibilità energetica e la dignità del lavoro è stato il tema affrontato oggi dal Simposio internazionale organizzato dal WWF e dalla Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV) dal titolo “Una Transizione giusta per la nostra Casa Comune: Energia, Lavoro e Sradicamento della Povertà”.
L’incontro ha voluto promuovere il dialogo tra diversi attori globali e locali provenienti da Europa, Africa, Asia Orientale e America Latina per aumentare la consapevolezza sulla necessità di applicare una giusta transizione energetica verso il 100% di energie rinnovabili considerando anche le sfide e le opportunità  per coloro, lavoratori e comunità locali, che saranno influenzati da una decarbonizzazione globale.
“Oggi la politica è ancora saldamente legata a una vecchia economia se non espressione di questi interessi – ha dichiarato nel suo intervento introduttivo Gaetano Benedetto, direttore generale del WWF Italia –  Il processo di responsabilizzazione è richiamato, oltre che dagli ambientalisti, dal mondo scientifico e dal mondo cattolico che punta l’attenzione sugli effetti delle nostre scelte economiche. In questo quadro l’unione tra la  cultura scientifica e ambientalista e il rispetto dei diritti è la saldatura ideale capace di individuare le soluzioni”.
“La transizione energetica implica la trasformazione di modelli di consumo, del mondo del lavoro e delle società organizzate. Il pericolo  è che si creino nuovi poveri e cresca la divisione tra paesi ricchi e nuovi emergenti, paesi cioè capaci di nuove tecnologie e quelli che subiscono, senza sapere come gestire questi cambiamenti e alla mercè di dinamiche senza controllo – ha aggiunto Gianfranco Cattai, Presidente di Focsiv –  Devono essere soprattutto i paesi storicamente responsabili dell’aumento di emissioni di gas serra a farsi carico della responsabilità di questa transizione”.
Barbara Degani, sottosegretaria al ministero dell’Ambiente, nel suo intervento  ha sottolineato le opportunità offerte dalla crescita della  green economy: “Gli investimenti nel settore della green economy hanno registrato un record nel 2016 di 329 miliardi di dollari. L’Accordo di Parigi sul clima è stato un punto irreversibile da cui non si torna indietro rispetto al modello di sviluppo. La consapevolezza collettiva sta spingendo i governi a fare delle scelte. Negli ultimi 5 anni abbiamo subito un incremento di fenomeni climatici estremi che mettono a serio rischio il territorio. Dobbiamo dunque viaggiare su un doppio binario che vede riduzione delle emissioni e costruzione di un modello di sviluppo a bassa intensità di carbonio. Con il collegato ambientale in Italia abbiamo, ad esempio, dato un contributo definendo i criteri ambientali negli appalti pubblici. Sappiamo però che per affrontare queste sfide le responsabilità sono differenziate: deve esistere una visione più solidale, i paesi ricchi devono dare più risorse per l’adattamento, devono trasferire tecnologie. La sfida è quella di uno sviluppo sociale ed economico durevole e svincolato dalle fonti fossili. La partita non si gioca solo in Europa, ma coinvolge soprattutto Africa e Asia”.
Lo spirito dell’incontro ha trovato diversi spunti nell’Enciclica di Papa Francesco Laudato Si’, dedicata alla “Cura della Nostra Casa Comune”, come richiamato anche dall’Arcivescovo di Trento, Luigi Bressan che ha ricordato anche il ruolo svolto dalle religioni, non solo quella cristiana, che nel passato  hanno più volte evidenziato il bisogno di custodire la Terra : ““L’enciclica si presenta come un progetto vasto di ecologia basata sulla convinzione che tutto è intimamente connesso. Nella nostra casa comune dobbiamo ascoltare il grido dei poveri. Il lavoro è una necessità e in questo processo di transizione se rinunciamo a investire sulle persone per ottenere un beneficio immediato compiamo un pessimo gesto. Non vanno considerati solo i processi economici ma va posta attenzione verso le persone. Le conoscenze sono ormai disponibili. L’adattamento deve essere progressivo ma deciso, con migliorie non separate bensì inserite in una filiera di riforme correlate.   Occorre una grande determinazione etica, una pazienza costruttiva senza cedere ad alcuna rassegnazione”.
Samantha Smith, leader della Global Climate and Energy Initiative del WWF Internazionale: “Si pensava che gli effetti del cambiamento climatico avrebbero influenzato il pianeta tra una generazione. Invece oggi il più grande organismo vivente presente sulla terra, la grande barriera corallina australiana, è ormai danneggiata in modo irrecuperabile, colpita dalle conseguenze dell’uso di fonti fossili. L’Artico e le popolazioni che dipendono da questa regione stanno subendo effetti disastrosi dovuti a temperature di 20, 25 gradi superiori alla media dei mesi invernali. Ci sono 65 milioni di rifugiati ambientali nel mondo, un numero mai raggiunto prima delle due guerre mondiali. Come ambientalisti crediamo in una nuova economia verde fondata sulle nuove tecnologie e su forme di lavoro dignitoso; vogliamo diffondere nuove forme di energia a chi non le ha ancora, evitare odio e divisione. Aver unito finora le forze con altri settori della società, come sindacati, associazioni, comunità religiose, ci consente di collaborare con 18 milioni lavoratori e pensionati, una comunità che rappresenta un reddito di 30 trilioni di dollari. Sappiamo che le soluzioni sono a portata di mano ma per poter accedervi occorre una transizione rapida che avvenga in modo più equo con impegno, collaborazione e dialogo sociale”.
Sono intervenuti anche esponenti del mondo del lavoro, tra cui Kees van der Ree, coordinatore del programma Green Jobs dell’ILO, (Agenzia ONU che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne). “Per promuovere un lavoro dignitoso per tutti che unisca sviluppo sociale e sostenibilità ambientale abbiamo stilato delle Linee guida. La nostra analisi mostra come la transizione verso le rinnovabili potrà creare 60 milioni di posti di lavoro entro il 2030 a condizione che siano attuate nuove politiche. Altrimenti vedremo solo perdite di occupazione nei settori influenzati dal cambiamento, come quello edile, dell’imballaggio e dei trasporti. Da un lato vediamo effetti positivi di alcune misure, come le tariffe feed in, il meccanismo che consente di rivendere l’energia autoprodotta. In altre parti del mondo però la dismissione di industrie inquinanti, come le miniere di carbone di Cina, rischiano di creare disuguaglianze e perdite di lavoro. Servono strategie armonizzate e la  collaborazione istituzionale tra società civile e governi. Per questo è fondamentale il dialogo sociale. L’elemento chiave è la formazione di nuove figure professionali.  
Consapevole dei potenziali rischi nel mondo del lavoro legati ad una transizione non equa è anche il mondo sindacale, come ha evidenziato la direttrice delle politiche economiche e sociali dell’ITUC (International Trade Union Confederation), Alison Tate:  “Una persona su due oggi è soggetta alla perdita posti di lavoro o alla riduzione delle ore lavoro. 30 milioni di persone operano in condizioni paragonabili al lavoro forzato. Questa è la realtà economica. Per conciliare zero povertà e zero emissioni di CO2 si devono trovare modalità che non escludano nessuno. Nelle prime 50 multinazionali che forniscono beni di largo consumo solo il 6%  degli utili sono prodotti da lavoratori che dipendono direttamente dalla holding , il resto del lavoro passa attraverso l’esternalizzazione e subappalto. Dunque, gli utili per queste aziende sono ottenuti grazie a persone per le quali esse non hanno alcuna responsabilità. Questo è un tema di giustizia sociale. Bisogna chiedersi come verranno utilizzati i 90 trilioni di investimenti previsti da qui al 2050 legati alla transizione energetica. Oltre 1000 imprese hanno sottoscritto un appello, insieme alle ong e altri segmenti della società per una transizione equa. Occorre ad esempio recuperare e costruire sistemi di protezione sociale. I lavoratori delle industrie più inquinanti non vanno emarginati, ma vanno utilizzate e reimpiegate le loro competenze”.
Un esempio di un possibile modello di transizione è stato mostrato da David Nerini, Segretario Confederale CGIL La Spezia, una comunità che ha visto fino ad oggi la presenza di tre realtà produttive destinate ad essere superate dalla nuova transizione.
“I tre grandi produttori che insistono sul nostro piccolo territorio, Enel con la sua centrale termoelettrica a carbone, la Snam  con il rigassificatore e l’impianto della raffineria,  si trovano di fronte a un bivio. Occorre che la transizione energetica locale sia perfettamente integrata dentro un modello di sviluppo del territorio. Questo modello deve essere adattato perché le interdipendenze sono tantissime. Nessun interesse è più importante di un altro. Abbiamo identificato,ad esempio, un luogo fisico dove discutere e definire regole di ingaggio, la transition arena. La regola è la massima partecipazione che includa anche le realtà produttive finora attive a cui chiediamo di non abbandonare il territorio. Dobbiamo rivitalizzare la loro presenza alla luce del fatto che l’abbandono progressivo di fonti tradizionali lascerà uno spazio grandissimo per le fonti energetiche rinnovabili”.
Per Riccardo Balducci, Corporate Enviromental manager di Sofidel, azienda che fa parte dei Climate Savers del WWF: “Bisognerebbe prevedere meccanismi di mercato che premino le aziende virtuose nella riduzione Energia e che promuovano i consumi sostenibili. Noi abbiamo scelto il WWF per supportare il nostro impegno per la sostenibilità e per la riduzione delle emissioni di Co2”.

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