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Costa Concordi attenti al pasticcio

Dopo tutti gli sforzi e le attenzioni prestate per fare in modo che la soluzione del naufragio della Costa Crociera diventasse anche a livello internazionale un esempio di efficienza e di tecnologia, l’epilogo della  vicenda rischia di trasformarsi…

Dopo tutti gli sforzi e le attenzioni prestate per fare in modo che la soluzione del naufragio della Costa Crociera diventasse anche a livello internazionale un esempio di efficienza e di tecnologia, l’epilogo della  vicenda rischia di trasformarsi in un “pasticcio all’italiana” condizionato da scelte e forzature politiche e non da considerazioni tecniche.

Secondo le notizie raccolte da Greenpeace, Marevivo e WWF, il Governo si appresta a emanare un provvedimento legislativo a favore del Porto di Piombino per autorizzare e finanziare i necessari interventi di adeguamento al fine di portare lì il gigantesco relitto della Costa Concordia.  E’ vero che da molti anni è in discussione il progetto di adeguamento del Porto di Piombino ed è vero che già esiste un progetto di aumento dei fondali sino a 15 metri, ma altrettanto vero che i fondali limitrofi al porto hanno una quota più alta e che già è stato bocciato un progetto per la realizzazione di un canale di accesso che avrebbe comportato un importante escavo di sedimenti che ai sensi di legge costituiscono rifiuto speciale o pericoloso per l’alta presenza di metalli pesanti e sostanze chimiche.  Inoltre risolto il problema dell’accesso della nave a Piombino non si capisce chi e come poi proceda allo smaltimento materiale della stessa non essendo Piombino dotata di una piattaforma tecnica e tecnologica a tal fine adeguata. L’utilizzo degli impianti industriali esistenti, a iniziare dalle acciaierie Lucchini, non pare allo stato attuale conforme alle esigenze di smantellamento della Concordia con il risultato che la nave potrebbe rimanere a lungo nel porto come monumento di se stessa.

La scelta di Piombino sarebbe determinata soprattutto da una scelta di mantenere in Toscana i “vantaggi” economici dello smaltimento del relitto quale forma di “risarcimento” del danno subito. Ma può essere questo il solo criterio di una scelta di tale delicatezza? Le Associazioni ricordano tra l’altro che l’ipotesi di sversare in mare i fanghi escavati nel dragaggio delle aree antistanti il porto di Piombino sono state già oggetto di dura polemica e, infine, scartate per l’evidente minaccia all’ecosistema marino, e alle attività economiche che da esso dipendono come la pesca e il turismo, nel litorale toscano, nelle isole dell’Arcipelago Toscano – a cominciare dall’Isola d’Elba – e in generale nel Santuario dei Cetacei che comprende anche l’area dell’Arcipelago Toscano e del litorale della Regione Toscana, oltre che della Liguria e di parte della Sardegna.

Secondo WWF, Marevivo, e Greenpeace, esattamente come per la rimozione del relitto si è proceduto adottando la metodologia del bando internazionale, altrettanto occorre fare per lo smaltimento. Ovviamente in questo caso il bando può essere rivolto solo alle realtà portuali italiane per garantire che nel nostro Paese rimanga l’investimento necessario all’intervento, ma occorre preventivamente stabilire le caratteristiche di idoneità che devono essere poste a garanzia di tempi certi per la rottamazione del relitto e il recupero dei materiali.  Appare infatti chiaro che la tecnologia scelta per lo rimozione della Concordia si presta ad un suo spostamento in sicurezza anche a distanze significative nell’ambito del Bacino del Mediterraneo. Molti porti italiani possono dunque essere interessati, è interesse di tutti scegliere il migliore per condizioni e per certezza dei tempi evitando di buttare fondi pubblici nell’ennesimo intervento industriale dettato più dalla ragion politica che non da una rigorosa scelta tecnica.

Le Associazioni ambientaliste, infine, dallo scorso settembre attendono di essere coinvolte – come promesso dall’Osservatorio per la rimozione della nave Concordia – nel processo consultivo di cui  lamentano la scarsa trasparenza.  Una consultazione che tra l’altro, grazie a un “tavolo tecnico” che si doveva riunione entro il novembre 2011 e che non si è mai aperto, avrebbe dovuto riguardare il complesso delle attività umane che minacciano, direttamente e indirettamente, il Santuario dei Cetacei.

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