I progetti di cattura e stoccaggio del carbonio realizzati fino ad oggi in Italia e all’estero non hanno dato risultati rilevanti nella strategia di mitigazione del cambiamento climatico
Mettere la CO2 sotto terra è una soluzione credibile per la decarbonizzazione? Se lo è chiesto il WWF Italia che ha commissionato uno studio al think tank indipendente sul clima ECCO, pubblicato oggi e presentato con un webinar coordinato e introdotto da Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, cui sono intervenuti Michele Governatori, Lead Energia di ECCO, e Federico Maria Butera, professore emerito di Fisica Tecnica Ambientale al Politecnico di Milano.
Dal documento, intitolato “Ambiguità, rischi e illusione della CCS – CCUS. Criticità connesse allo sviluppo in Italia di una tecnologia più rischiosa che utile”, emerge come la Carbon Capture Usage and Storage, la cattura e lo stoccaggio del carbonio, non rappresenta un’opzione significativa nella strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici e in quella del processo di decarbonizzazione che deve rispettare le quantità e i tempi richiesti dall’Accordo di Parigi.
La CCUS ha un’incidenza irrisoria rispetto al fabbisogno di riduzione delle emissioni e oggi i progetti realizzati in Italia e all’estero mostrano la sua inefficienza anche economica.
Dopo decenni di sviluppo, e la cattura della CO2 ha raggiunto una capacità di circa 40 Mt di CO2/a, corrispondente allo 0,1% di tutta la CO2 emessa a livello mondiale nel 2019. Per ora il settore della cattura e stoccaggio tecnologici di CO2 è scarsamente rilevante malgrado la ricerca e i finanziamenti spesi. Nemmeno dopo aver ricevuto sussidi pubblici considerevoli, infatti, la relativa filiera si è attivata in modo promettente, ed è inopportuno indirizzarvi nuove risorse pubbliche, soprattutto per progetti di dimensione commerciale.
La CCUS (utilizzo e stoccaggio), poi, non regge il confronto rispetto alle soluzioni di decarbonizzazione attraverso l’annullamento delle emissioni climalteranti alla fonte, anche a causa delle incertezze, dei rischi e dei costi che la CCUS sposta sulle generazioni successive. Per esempio, riguardo allo stoccaggio geologico della CO2, disastri come quelli di Trecate e della Deepwater Horizon mostrano che non è sufficiente la stabilità geologica a scongiurare fughe completamente incontrollabili del contenuto del reservoir.
Nel documento, sulla base anche di dati ed esempi internazionali ma con un focus specifico sull’Italia, sono evidenziate in dettaglio le maggiori criticità connesse all’opzione di decarbonizzazione legata a progetti di CCUS quali quello di ENI a Ravenna: potenziali inadeguati, costi esorbitanti, rischi di difficile gestione.
Se nel caso della decarbonizzazione dei fumi di centrali termoelettriche l’inefficienza del CCS è palese, soprattutto in impianti a gas dove la concentrazione di CO2 nei fumi è minore, anche per la maggior parte dei settori industriali non c’è sufficiente evidenza per affermare che la CCUS sia più promettente rispetto ad altre innovazioni tecnologiche.
Un limite strategico enorme della CCUS è la sua inter-dipendenza dall’industria petrolifera, soprattutto rispetto allo stoccaggio della CO2. Infatti, gli unici esempi di applicazioni relativamente mature riguardano l’industria dell’upstream petrolifero, un settore per il quale è oggi importante gestire il phase-out, limitando nuovi investimenti incoerenti, più che indirizzare nuove risorse. Alimentare invece la sinergia tra coltivazione di idrocarburi e stoccaggio di CO2, significa prospettare una visione quantomeno strabica della decarbonizzazione. Più in generale, la costruzione di un’industria CCUS è fortemente associata, per sinergie tecniche ed economiche, alla filiera del fossile.
La CCUS, dunque, rischia di essere un modo per tenere in vita le filiere delle fossili compensandone in maniera poco significativa le emissioni-serra. Più che un’opzione per la decarbonizzazione, la CCUS rappresenta quindi un’estensione delle attività dell’industria fossile con la prospettiva di procrastinare il decommissioning di impianti della propria filiera, e con esso le bonifiche relative.
Queste considerazioni preliminari suggeriscono di riportare il tema alle sue reali e limitate potenzialità e suggeriscono di escludere il ricorso alla CCUS quale soluzione per la strategia di decarbonizzazione di lungo periodo. La Long Term Strategy nazionale ne identifica un contributo dai 20 ai 40 Mt/a al 2050, ma tale potenziale non sembra supportato dall’evidenza né da un’analisi prudente dei costi, dei rischi e degli impatti di tale opzione rispetto alle soluzioni alternative.
Un uso massiccio di CCUS, quand’anche fosse possibile, eluderebbe obiettivi ecologici ulteriori alla decarbonizzazione ma altrettanto rilevanti soprattutto a livello regionale, in primis il disinquinamento (quasi 66 mila morti premature in Italia per la sola scarsa qualità dell’aria) che richiede la sostituzione dei processi di combustione con usi elettrici d’energia e produzione elettrica senza emissioni dannose.
I relatori del webinar del WWF hanno concluso che oggi è necessario pensare a soluzioni che guardino e preparino il futuro e non il passato.