Associazioni: non è la soluzione per la crisi energetica ma il rilancio dei fossili
L’annunciato emendamento sblocca trivelle del Governo sembra avere l’unico scopo di perpetuare e rilanciare la presenza e l’attività delle piattaforme offshore di estrazione degli idrocarburi scardinando gli attuali vincoli normativi a tutela dell’ambiente, delle popolazioni costiere e dell’economia del mare, che vietano le trivellazioni nell’Alto Adriatico (a causa del rischio subsidenza) e, lungo tutte le nostre coste, nell’area offlimits delle 12 miglia marine dal perimetro esterno delle aree protette e dalle linee di costa.
Lo sostengono Greenpeace Italia, Legambiente e WWF che osservano come l’annunciato emendamento al “decreto aiuti” -se confermato- sia nella sostanza un regalo alle industrie petrolifere estrattive, in primis all’ENI, mentre il vantaggio per le industrie energivore, annunciato dal Governo, appare essere del tutto marginale e sulla strada sbagliata rispetto agli impegni per la decarbonizzazione dell’economia assunti dall’Italia su scala globale dato che favorisce la fornitura e l’uso di una fonte fossile come il gas a prezzi agevolati.
C’è poi da notare, aggiungono gli ambientalisti, che il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee – PITESAI, elaborato dal Ministero della Transizione Ecologica approvato nel settembre 2021 e sottoposto alla Conferenza Stato-Regioni nel dicembre 2021, riconosce e ribadisce i vincoli e non si trova traccia di quanto annunciato in questi giorni dal Governo sulla possibilità di riammettere a produrre le concessioni esistenti in Alto Adriatico e di prevedere il rilascio di nuove concessioni tra le 9 e le 12 miglia.
Infine, osservano gli ambientalisti, le motivazioni alla base della decretazione d’urgenza relative alla sicurezza degli approvvigionamenti sono inconsistenti dato che il nostro fabbisogno annuale di gas si aggira attorno ai 76 miliardi di metri cubi e che la produzione annuale di gas nazionale pesa attorno ai 3-5 miliardi di metri cubi l’anno e, secondo le stime del governo, l’incremento atteso con l’emendamento sblocca trivelle è di 15 miliardi di metri cubi in 10 anni, cioè 1,5 miliardi di metri cubi l’anno, che sarebbero equivalenti solo all’1,9% del fabbisogno nazionale.
Aumentare le trivellazioni in mare significa aggravare la crisi climatica che la stessa Presidente Meloni ha pienamente riconosciuto e si è impegnata a combattere nel suo discorso di apertura della COP27 a Sharm el-Sheik. Riaprire alle trivellazioni in mare, sottolineano gli ambientalisti, significa continuare con lo stesso identico modello energetico che ha prodotto la crisi energetica e climatica e che ha comportato già più insicurezza, sofferenze e perdite economiche per cittadine e cittadini del nostro Paese. La transizione energetica, basata sulle fonti rinnovabili e il risparmio e l’efficienza energetica, sviluppo tecnologico e creazione di nuovi posti lavoro offre, invece, il set di soluzioni necessarie per superare l’attuale situazione di crisi.
“Siamo certi- commentano le associazioni- della sincera volontà della Presidente del Consiglio Meloni di tener fede agli impegni recentemente presi occasione della COP27. Ma per abbattere le emissioni climalteranti non abbiamo bisogno di nuove trivelle ma di un nuovo Piano nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC), che tenga conto dei nuovi target europei (REPowerEU), e dell’approvazione di una legge sul clima su cui basare le urgenti scelte politiche che sia capace di creare un confronto con la comunità scientifica”.