Gli amministratori della Regione Sardegna, opponendosi in questi giorni anche alla realizzazione di sistemi di accumulo, strettamente funzionali alla transizione energetica, al processo di decarbonizzazione e a uno sviluppo che sarebbe a totale vantaggio, non solo ambientale, ma sociale e occupazionale per l’isola, rischiano di porsi fuori dalla storia.
L’alleanza Sardegna Rinnovabile, nata su iniziativa delle associazioni ambientaliste WWF Italia, Legambiente, Greenpeace Italia e Kyoto Club con lo scopo di promuovere e sostenere uno sviluppo a carbonio zero della Sardegna, sottolinea come risulti davvero incomprensibile la pervicace e poco sensata opposizione a qualsiasi forma di trasformazione green del governo regionale: si oppone a tutte le fonti rinnovabili (sia su terra ferma che in mare aperto, come dimostra lo stesso contrasto aprioristico all’eolico off-shore galleggiante), contrasta tutte le infrastrutture che sono funzionali alla transizione energetica (inclusi sistemi di accumulo), si arrocca su posizioni tese a difendere tutto ciò che sostiene l’industria del fossile (ad iniziare dal carbone) mettendosi, di fatto, in opposizione totale alla stessa comunità scientifica internazionale.
L’opposizione al progetto di dotare la Sardegna di un sistema di batterie di accumulo per un totale di 750 MW distribuite adeguatamente in ambito regionale nei comuni di Ploaghe, Ottana, Assemini, 2xPortoscuso e Quartucciu, strettamente funzionale a poter chiudere la centrale termoelettrica Grazia Deledda di Portoscuso è quanto di più sorprendente si potesse immaginare. Eppure in Sardegna le fonti rinnovabili, sia su terra ferma sia in mare, avrebbero enormi potenzialità di sviluppo ed è incredibile che non si riesca a comprendere la portata dei benefici dei progetti e infrastrutture green che riguarderebbero l’isola, non solo sul fronte ambientale ma, appunto, proprio su quello sociale, ossia in termini di creazione di posti di lavoro.
Tutti i rapporti (ad esempio quelli di IRENA) ci dicono che lo sviluppo delle FER e degli annessi sistemi di accumulo tendono a creare molta più occupazione rispetto a obsolete ed insostenibili centrali a carbone che, in ogni caso, andrebbero messe fuori servizio nei prossimi anni per rispettare la stessa strategia energetica nazionale. Anche il tentativo di ricorrere al gas naturale (che è un combustibile fossile fortemente climalterante) con la realizzazione di pesanti infrastrutture rappresenta un ostacolo alla transizione energetica e alla decarbonizzazione, il tutto senza neanche aumentare l’occupazione a differenza, appunto, di quanto si può fare con le rinnovabili.
Le tesi della Regione Sardegna secondo cui i sistemi di accumulo siano da osteggiare poi per l’impatto ambientale appaiono discutibili sul piano tecnico-scientifico: come si fa a paragonare l’impatto sulla salute e sull’ambiente di una centrale a carbone con quello di un sistema di batterie?
Non discutiamo poi delle assurde tesi per cui lo sviluppo di sistemi di accumulo, funzionali allo sviluppo delle rinnovabili e quindi della transizione energetica, siano una forma di colonizzazione energetica dell’isola. Qualsiasi esperto del settore sa infatti come proprio i sistemi di accumulo siano uno strumento indispensabile per rendere disponibili sempre le fonti rinnovabili, rendendo proprio le stesse realtà locali autosufficienti dal punto di vista energetico, ragione per cui tutti i comuni finora hanno condiviso il progetto. Fingere di non comprendere che i sistemi di accumulo servano proprio al benessere del sistema energetico regionale (ancor prima che a quello nazionale) unitamente alla realizzazione quanto prima della importante infrastruttura del Tyrrhenian Link che aggiungerebbe 1000 MW di capacità di connessione alla rete elettrica nazionale ed europea getta pesanti interrogativi sulla lungimiranza con cui vengono rilasciate simili dichiarazioni.
Nel mondo ormai è chiaro che il futuro è nelle fonti rinnovabili, sia per combattere la crisi climatica che per rilanciare l’occupazione. È importante chiedere una transizione giusta, che sosteniamo, ma la chiusura alla transizione energetica è la perdita di una grande opportunità e la condanna a un declino schiavo dei combustibili fossili importati.