Per WWF, Greenpeace Italia, Legambiente e Kyoto Club, l’hub del gas nasconde solo infrastrutture inutili e costose, occorre mettersi al passo con il futuro e puntare davvero su rinnovabili ed efficienza
L’hub del gas porta solo insidie e costi per i consumatori e contribuenti, mentre le aziende fossili continueranno a fare profitti altissimi. Occorre difendere l’interesse dei cittadini e puntare davvero su rinnovabili ed efficienza energetica, per garantire bollette più basse a cittadini e imprese: così WWF, Greenpeace Italia, Legambiente e Kyoto Club in un comunicato congiunto su quella che più che strategia, appare una tattica energetica di corto respiro.
“Siamo tutti chiamati a compiere sforzi più profondi e più rapidi per proteggere il nostro pianeta, la nostra casa comune”: così aveva esordito nel suo mandato la Premier Giorgia Meloni intervenendo alla COP27 sul clima di Sharm el Sheikh. E il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, aveva approfondito il messaggio, sottolineando di essere cosciente del fatto che occorra uscire da tutti i combustibili fossili. Ora però, alla vigilia della revisione del PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), entrambi sembrano aver dimenticato quegli impegni. Anzi, paiono aver accantonato la crisi climatica tout court, e con essa la necessità di ridurre la dipendenza dall’estero e dai combustibili fossili. Gli accordi presi con Algeria, Libia e altri Paesi delineano una diversificazione NON del mix energetico, ma dei Paesi da cui l’Italia importerà gas. Sono accordi che rischiano di condizionare pesantemente il futuro energetico italiano, accompagnati come sono da impegni per opere inutili e costose, con benefici che andranno solo a grandi aziende e Paesi esteri, mentre i costi saranno scaricati sulla collettività. Un esempio per tutti è il gasdotto dall’Algeria che potrebbe determinare anche la futura metanizzazione della Sardegna, un passo indietro nel passato che condannerebbe l’isola alla dipendenza energetica dall’estero, invece di permetterle il salto tecnologico dalla fonte del passato, il carbone, a quelle del futuro, le energie rinnovabili.
Eppure non esistono margini di fraintendimento: l’aggiornamento del PNIEC va condotto sulla base dei nuovi e più ambiziosi target di riduzione delle emissioni climalteranti richiesti a livello EU –quando il PNIEC, oggi da aggiornare, fu approvato, il target europeo era di -40% di emissioni al 2030, oggi l’obbligo da regolamento è di almeno il 55%, con l’impegno di portarlo al-57% assunto alla COP27- pianificando quindi una seria e ambiziosa transizione alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica, coadiuvate dalle reti e dagli accumuli. Il Governo sembra concentrato solo sulla costruzione di nuove infrastrutture strategiche soprattutto per il gas (rigassificatori e gasdotti), quando invece gli stessi dati ufficiali ci dicono che le nostre capacità di approvvigionamento e le infrastrutture attuali sono adeguate anche a far fronte all’assenza delle importazioni dalla Russia, soprattutto in un quadro strategico che, appunto, deve fare rotta su un sempre minore impiego di combustibili fossili, gas incluso.
Noi riteniamo che invocare un “piano Mattei” per moltiplicare le infrastrutture per le fonti fossili sia in contraddizione persino con la visione e l’ispirazione dell’ingegner Mattei che oggi, ne siamo certi, cercherebbe di garantire fonti rinnovabili e meccanismi di stoccaggio dell’energia, non legandosi per decenni a un mercato volatile e costoso come quello del gas ha dimostrato di essere. Occorrerebbe invece puntare alla sicurezza energetica, come richiama proprio il nome voluto dal governo accanto a quello di Ministero dell’Ambiente, investendo nella transizione alle rinnovabili e all’efficienza energetica, che sono l’unica via per garantire contemporaneamente prezzi più bassi, indipendenza dalle forniture estere e politiche climatiche efficaci.
In un senso e in un altro, questo Piano anacronistico sarà pagato a caro prezzo dai cittadini/contribuenti. Non solo per il costo enorme di opere che saranno inutili, ma anche per il prezzo concordato per il gas, nettamente superiore a quello concordato da altri Paesi (per esempio dalla Spagna nel terzo trimestre del 2022).
Realizzare quindi oggi nuove infrastrutture per il gas, che dovrebbero restare operative per diversi decenni, non solo contrasta con gli obiettivi di decarbonizzazione, ma fa ci correre il rischio che divengano investimenti non recuperabili (stranded assets) che saranno, appunto, pagati dai contribuenti.
Da molti anni, la retorica dell’hub del gas non si accompagna a esigenze vere degli altri Paesi. Anche per il breve periodo, benché certamente sia stato richiesto un forte aumento delle esportazioni di gas (+197,2% nel 2022 rispetto ai dati del 2021), questa domanda è già in diminuzione perché gli altri Paesi si sono attrezzati come dimostrano anche gli aumenti delle importazioni di GNL a livello europeo (+ 39 miliardi di metri cubi rispetto al 2021 nel periodo gennaio-settembre). Resta da capire quali siano i prezzi praticati ai clienti esteri a fronte di quelli pagati dai consumatori italiani.
Il Governo dovrebbe piuttosto investire da subito e in modo convinto su tutto ciò che realmente agevola la transizione alle fonti rinnovabili e pulite di energia, all’efficienza, alle reti, agli accumuli, alla mobilità elettrica, ecc. Tutte scelte che non solo hanno risvolti ambientali (climatici) e sanitari (miglioramento della qualità dell’aria) positivi ma anche sociali ed economici: dai benefici derivanti dalla diffusione delle comunità energetiche rinnovabili alla maggiore occupazione che le scelte green sono in grado di determinare. In questo momento di volatilità del mercato e di situazione geopolitica complessa, buonsenso vorrebbe che si cerchi di vincolarsi il meno possibile e che si punti invece sulle fonti rinnovabili, più economiche, più rapide da istallare e garanzia di reale sovranità energetica, nonché sul risparmio e l’efficienza energetica, cercando di renderli strutturali: solo così si uscirà dalla crisi più forti e ancorati allo sviluppo energetico e industriale del futuro. Con la strategia attuale, invece, rischiamo di ritrovarci vincolati per decenni al gas tramite contratti firmati a condizioni di stress del mercato, impreparati alla nuova energia e alla nuova economia che si sta affermando.