Transizione energetica e tutela della fauna sotto attacco
Oggi il WWF Italia ha inviato alla IX Commissione del Senato le proprie osservazioni e proposte emendative sulla legge di conversione del decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 “Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura, nonché per le imprese di interesse strategico nazionale” (DL Agricoltura).
Il decreto-legge prevede interventi sull’agricoltura e altri settori, ma alcune disposizioni, se approvate, avrebbero preoccupanti impatti sugli obiettivi della transizione energetica e su quelli di tutela ambientale.
Il WWF Italia ha evidenziato in via preliminare come, nonostante la sua storica azione nella tutela dell’ambiente e della natura, non abbia avuto l’opportunità di essere audita e di illustrare nel dettaglio le proprie osservazioni. La Commissione, infatti, ha ritenuto di dover ascoltare un altissimo numero di portatori di interessi particolari, ma pochissimi portatori di interessi generali come le associazioni ambientaliste.
Le richieste del WWF
Nel merito il WWF ha chiesto la soppressione (o in subordine una sostanziale modifica) dell’art. 5 della decreto-legge che vieta di fatto l’installazione di impianti fotovoltaici a terra in tutte le aree agricole, persino in aree già qualificate come “aree idonee” (ad esempio i siti oggetto di bonifica). La norma, riducendo le opportunità di multifunzionalità delle aziende agricole, rappresenta una significativa penalizzazione per gli agricoltori, privati della possibilità di diversificare le proprie fonti di reddito. Per il WWF, fotovoltaico e agricoltura possono e devono convivere in modo sostenibile per l’ambiente e per gli agricoltori: con le tecniche adeguate, l’istallazione di impianti fotovoltaici a terra non comporta “consumo” di suolo, ma “occupazione” di suolo, temporanea e non irreversibile (come invece avviene con le infrastrutture e l’urbanizzazione). In questa prospettiva, è paradossale che si vieti il fotovoltaico a terra, mentre la Legge sul consumo di suolo resti nei cassetti, nel disinteresse di Governo e Parlamento.
Un ingiustificato freno alle rinnovabili
La norma determina poi un ingiustificato freno allo sviluppo delle energie rinnovabili e alla transizione energetica, vanificando tutte le politiche di pianificazione e razionalizzazione normativa per le fonti rinnovabili degli ultimi anni e portando un danno agli operatori del settore (più di 40 miliardi di euro di investimenti ad oggi programmati in Italia da imprese italiane e straniere, potenzialmente destinati a raddoppiare in vista del raggiungimento degli obiettivi FER al 2030). Il Governo, peraltro, è chiamato ad approvare entro giugno 2024 il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), dove si è già impegnato, nella prima versione condivisa con la Commissione europea, a semplificare l’iter autorizzativo per le rinnovabili e a quadruplicare entro il 2030 l’obiettivo di crescita della potenza FER derivante da fonte solare (79.921 MW al 2030, rispetto ai 21.650 MW installati nel 2020).
Elettricità Futura ha evidenziato che per raggiungere il target sottoscritto dall’Italia alla COP21 di Dubai di triplicare le rinnovabili (installare nuovi 140 GW), servirebbe meno dell’1% dei terreni agricoli, evitando ovviamente le aree agricole di pregio. Eliminare totalmente le aree agricole, però, mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione.
Il decreto-legge tocca poi una serie di norme legate alla caccia e alla lotta al bracconaggio che comporterebbero un indebolimento della tutela della fauna in Italia e già evidenziati dalle associazioni ambientaliste in fase di presentazione del decreto-legge.
Modifiche alla legge sulla fauna
Ma sul punto preoccupano molto anche gli emendamenti al decreto finalizzati alla modifica della Legge n. 157/1992 su tutela della fauna selvatica e disciplina dell’attività venatoria. Si tratta, da quanto si apprende dagli organi di stampa, di emendamenti palesemente estranei all’oggetto del decreto-legge in conversione e pertanto privi dei requisiti di necessità e urgenza nella modifica, in peius, della normativa sulla gestione venatoria.
Nel merito siamo di fronte ad ulteriori passi verso la deregulation venatoria in atto: lo stravolgimento della disciplina sulla detenzione di uccelli utilizzati quali “richiami vivi” (oggi uno tra i più fiorenti traffici illeciti di animali selvatici in Italia) o l’eliminazione del divieto di caccia nei valichi montani con automatica e ingiustificata riduzione del livello di tutela ambientale.
Tutto ciò, peraltro, con ripercussioni negative sulla tutela degli uccelli migratori, tutelati “nell’interesse della comunità nazionale e internazionale” (art. 1 della Legge n. 157/1992 e quindi una ulteriore violazione della Direttiva 2009/147/CE “Uccelli”, rispetto alla quale sono già state recentemente avviate, nei confronti dell’Italia, una procedura d’infrazione (INFR(2023)2187) e una procedura di “pre-infrazione” (EUP(2023)10542).