Il WWF è vicino alle famiglie delle vittime ed esprime solidarietà ai cittadini marchigiani colpiti dalle conseguenze delle violentissime precipitazioni e dell’alluvione improvvisa di ieri sera.
È ormai evidente che la crisi climatica costituisce la maggiore minaccia alla sicurezza dei cittadini. Il moltiplicarsi di eventi estremi e violenti, quest’anno davvero martellante, mette ancora più in evidenza l’incapacità di attrezzarsi per affrontare le cause e le conseguenze del riscaldamento globale. Mitigazione (cioè taglio delle emissioni) e adattamento al cambiamento climatico, quindi, dovrebbero essere in cima ai programmi e al dibattito elettorale, ma non è così.
Il caso delle Marche, in particolare proprio della zona più colpita, vicino Senigallia, è emblematico della necessità e urgenza di una grande azione di cura, messa in sicurezza del territorio, e recupero delle aree di esondazione naturale dei fiumi, sacrificate dal consumo di suolo. Dopo un evento analogo, cinque anni fa, si sono ricostruiti alti argini a monte, spendendo anche molti soldi, senza pensare che questo avrebbe significato velocizzare l’afflusso di acqua a valle in caso di precipitazioni ingenti. Manca un piano territoriale che agisca sia sul fiume Misa (rinaturazione e restauro, zone di espansione ecc.) e sugli altri corsi d’acqua che sui territori circostanti, per esempio interagendo in modo partecipato con gli agricoltori perché le colture vicine al corso d’acqua non impermeabilizzino il terreno, aumentando l’impatto dei fenomeni. Anche i sistemi di allerta vanno potenziati e resi più efficaci: bisogna sviluppare in modo sistematico e ragionato le competenze in tal senso.
La Regione Marche è intervenuta negli ultimi anni con opere di manutenzione dei fiumi come il taglio della vegetazione ripariale che hanno aumentato la vulnerabilità del suo territorio e il dissesto idrogeologico, con elevati impatti sulla biodiversità. Un esempio evidente di come non deve essere realizzata la manutenzione del territorio aggravando i problemi invece di risolverli.
Quello che è accaduto è ancora più grave se pensiamo che in Italia manca un piano nazionale di adattamento, nei cassetti del Ministero (prima dell’Ambiente e ora della Transizione Ecologica) dal 2018, e manca anche una cultura diffusa e partecipativa dell’adattamento che va creata al più presto.
La comunità scientifica ci dice che se non abbatteremo in brevissimo tempo le emissioni climalteranti (CO2, metano, ecc.) rischiamo di avere a che fare con sconvolgimenti di portata tale da non essere in grado di fronteggiarli.
Nel dibattito elettorale, mentre si dovrebbe discutere di come spingere sull’acceleratore delle fonti rinnovabili che rappresentano la soluzione più veloce, più efficace e meno costosa per la nostra transizione ecologica e la necessaria decarbonizzazione delle nostre produzioni, l’attenzione continua ad essere concentrata in una sorta di referendum tra un’opera fossile e l’altra. Le fonti rinnovabili e il risparmio e l’efficienza energetica costituiscono la prospettiva di affrancamento dai combustibili fossili, e quindi far fronte alla crisi climatica, ma anche gli strumenti più economici e veloci per affrontare l’emergenza energetica. Con i prezzi del gas alle stelle, è assurdo non si pensi a come evitare di farne uso – bisogna dare avvio a una mobilitazione nazionale per risparmiare gas ed energia – né si emanano i provvedimenti necessari per favorire la diffusione veloce delle fonti rinnovabili, da quelli per le comunità energetiche, attesi da mesi, a quelli sulle aree idonee.
Occorre agire subito, prima che il contatore delle tragedie e delle vittime continui a correre. Ma per agire bene è necessario approvare subito una legge sul clima, una legge per arginare il consumo del suolo senza perdere altro tempo prezioso.