Il Biologico “Made in Italy” ostaggio dei pesticidi

Il Ministero dell’Agricoltura guidato da Francesco Lollobrigida conferma, con alcune non sostanziali modifiche, il Decreto ammazza-bio

Il Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste ha svolto la settimana scorsa una riunione con le Associazioni di categoria dell’agricoltura biologica per un confronto sui contenuti del Decreto Contaminazioni dei prodotti biologici, dopo la denuncia pubblica del WWF Italia e della rivista “Il Salvagente”.

Se si è sentita l’esigenza di intervenire sul testo, evidentemente sono state confermate le preoccupazioni espresse dal WWF e sulle quali si erano registrate le stizzite risposte delle associazioni di categoria.

Secondo le indiscrezioni trapelate, nel corso della riunione sono state concordate alcune correzioni al testo dell’art. 3 del Decreto che prevedeva il blocco della commercializzazione del prodotto biologico in caso di una contaminazione uguale o inferiore al limite di 0,01 mg/Kg. Le modifiche minime riguarderebbero l’eliminazione della compromissione dell’integrità del prodotto biologico  dovuta alla presenza di tracce di più di una sostanza chimica non ammessa (il multiresiduo), per superare il problema delle miscele commerciali dei prodotti fitosanitari (punto c, comma 4, art. 3); sarebbe stata eliminata la norma che prevedeva la garanzia da parte dell’operatore di escludere la reiterazione di un avvenimento causa della contaminazione non sotto il suo controllo (punto b, comma 6, art. 3), una banalità perché è evidente che l’agricoltore non avrebbe mai potuto fornire tale garanzia indipendente dalla sua volontà; sarebbe stato eliminato il “formalmente” come criterio di riconoscimento del falso positivo, dato che non esiste un elenco formale di falsi positivi (punto b, comma 7, art. 3); sarebbero stati eliminati i riferimenti alle generiche  “tracce” dei contaminanti nel titolo e nel testo dell’allegato (una segnalazione di “tracce” non quantificabili costituirebbe per l’organismo di controllo un elemento per orientare eventualmente la futura attività d’ispezione, ma non comporterebbe da sola il blocco cautelativo del prodotto, che potrà essere comunque disposto nel caso emergano anche altri elementi di una sospetta contaminazione).

 In definitiva si tratta di modifiche che non cambiano i contenuti e gli effetti del contestato art. 3 del Decreto.

Non sarebbe invece stato modificato l’art. 5 del Decreto che resta il vero scandalo del controverso provvedimento del Ministero che prevede sostanzialmente, anche in caso di contaminazione accidentale, involontaria e inevitabile, un aumento della tolleranza della presenza di una sostanza chimica non ammessa nei prodotti biologici, con una assurda complicazione della normativa1. Sarebbe bastato, per il WWF Italia, mantenere il limite massimo complessivo di 0.01 mg/kg di sostanze chimiche non ammesse, prevedendo alcune deroghe per casi eccezionali, documentati con motivazioni scientifiche come nel caso dei fosfiti (sostanze chimiche non ammesse nel biologico che vengono prodotte naturalmente dalle piante).

Lo sviluppo del settore biologico si basa molto sulla credibilità dell’offerta che rischia di essere seriamente compromessa alla prima rilevazione di livelli di contaminazione superiori a quelli attualmente ammessi.

Rimarrebbe poi inalterato l’aspetto bizzarro del Decreto che prevede l’assenza di sanzioni, ma l’obbligo di non commercializzazione del prodotto qualora si rilevi la presenza di una contaminazione oltre i nuovi limiti indicati dall’art. 5, ed emerga che questa non è intenzionale, ma è accidentale con l’agricoltore che aveva posto in essere a sue spese, anche se invano, tutte le misure ragionevoli per evitarla. L’agricoltore sarebbe considerato non colpevole della contaminazione, ma subirebbe un danno economico e non verrebbe indennizzato per la perdita del prodotto (e in tal modo non sarebbe punito neppure il responsabile della contaminazione, ignorando il criterio “chi inquina paga”). Una norma simile sarebbe sostenibile solo se affiancata da un’altra norma che stabilisse chi dovrebbe indennizzare l’agricoltore biologico che ha subito il danno. Non si tratta solo della perdita economica diretta per la mancata vendita del prodotto a causa di responsabilità altrui, ma anche del danno indiretto per tutti gli investimenti e per tutto il lavoro svolto dall’agricoltore biologico sulla sua coltura, il cui raccolto non potrà essere venduto. È ovvio che il danno dovrebbe essere risarcito dall’agricoltore convenzionale che, utilizzando i pesticidi, ha determinato la contaminazione del prodotto biologico, ma in questa complessa normativa i veri colpevoli dell’inquinamento non vengono mai chiamati in causa.

Il Ministero dell’Agricoltura dovrebbe presentare nei prossimi giorni una versione aggiornata del testo del Decreto, con le correzioni concordate con le Associazioni di categoria. Il WWF rinnova l’invito ad eliminare gli articoli 3 e 5 ed auspica massima trasparenza e completa informazione sulle modifiche del Decreto, a tutela non solo dei produttori biologici, ma anche dei cittadini consumatori e dell’ambiente.

Questo tema della contaminazione da pesticidi dei prodotti biologici è molto complesso, anche per gli addetti ai lavori, ma ha reso evidente come oggi il biologico “Made in Italy” si trova difronte a un bivio con due strade divergenti.

La prima conduce ad una agricoltura biologica destinata a rimanere un modello minoritario, rassegnato a convivere con i pesticidi nell’ambiente, incapace di pretendere una seria tutela dalle contaminazioni che metta in discussione metodi e processi produttivi dell’agricoltura convenzionale; la seconda dovrebbe essere quella dell’agroecologia dove l’assenza dei prodotti chimici viene compensata da soluzioni basate sulle natura e da tecniche agronomiche innovative che possono cambiare i modelli di produzione, garantendo comunque la sostenibilità economica delle aziende agricole e allo stesso tempo una vera sostenibilità ambientale dell’agricoltura e la tutela della salute dei cittadini consumatori. Il Decreto contaminazioni proposto dal Ministero, guidato da Francesco Lollobrigida, favorisce la prima strada che non mette in discussione l’uso dei pesticidi e dei fertilizzanti chimici per la maggioranza dell’agricoltura italiana, relegando l’agricoltura biologica ad una nicchia del 25% della superficie agricola utilizzata, ritenuta ormai tollerabile dalle grandi corporazioni agricole e dall’industria. L’agricoltura biologica ha in realtà tutte le potenzialità per diventare il modello di produzione sostenibile maggioritario nel nostro Paese, puntando con convinzione a oltre il 50% della superficie agricola utilizzata senza veleni entro il 2034, con il sostegno di una adeguata Politica Agricola Comune dell’Unione europea post 2027 che la nuova Commissione dovrà presentare entro il prossimo anno.

1L’articolo 5 del Decreto prevede che il prodotto biologico non deve presentare residui superiori a 0.01 mg/kg per sostanze con LMR, Limite Massimo di Residui, minori o uguali di 10 mg/kg, ma nemmeno per sostanze con LMR tra 10 e 100 mg/kg. Per le sostanze con LMR uguale o superiore a 100 mg/kg (sostanzialmente l’acido fosfonico), nei prodotti biologici sarebbe tollerato un residuo di 1 mg/kg (cioè l’1% del LMR). Il Limite Massimo di Residui (LMR) è la quantità massima di un residuo di pesticida ammessa negli alimenti e sono detti anche “limiti di legge ” o “livelli ammessi”.

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