Il progetto di rinaturazione del Po non deve essere fermato nè rallentato

Gli interessi di una singola categoria, già ampiamente tutelati, non possono mettere a rischio territorio e sicurezza dei cittadini

Gli interessi di una singola categoria, già ampiamente tutelati, non possono mettere a rischio territorio e sicurezza dei cittadini

In queste ultimi giorni è stato sferrato un duro attacco al progetto di rinaturazione del Po, l’unico di questo tipo presente nel PNRR. 357 milioni per ripristinare quella importante fascia fluviale, fatta di boschi ripariali e lanche, che in questo ultimo secolo è stata erosa ed espropriata al fiume contribuendo alla sua canalizzazione, all’abbassamento dell’alveo (in alcuni punti si è abbassato fino a 5 metri), all’aumento del rischio idrogeologico, alla drastica perdita di habitat naturali e di biodiversità e alla riduzione di importanti servizi ecosistemici, che invece con questo progetto s’intende ripristinare. Un progetto che è stato elogiato anche da Ursula Von Der Leyen, Presidente della Commissione europea, durante la sua visita alle zone alluvionate dell’Emilia-Romagna perché contribuisce e rendere il territorio più sicuro e a salvare vite umane, allineandosi ad altri importanti interventi di riqualificazione in Europa come sul Reno in Germania e Olanda o sul Danubio in Austria, Ungheria e Romania[1].

Il WWF, che insieme ad ANEPLA di Confindustria, è stato il promotore del progetto, ritiene fondamentale che tutti i 56 interventi previsti lungo l’asta del Po vengano realizzati entro il 2026.  Si tratta di un’occasione unica per promuovere azioni concrete di adattamento al cambiamento climatico, ripristinando i servizi ecosistemici del fiume: il solo valore di alcuni di essi, quali il recupero della capacità autodepurativa fornito dalle riforestazioni e dal ripristino delle zone umide, l’assorbimento di carbonio favorito dal ripristino della fascia naturale, il miglioramento della regolazione del ciclo idrologico migliorando la laminazione delle piene e la protezione delle sponde dall’erosione produrrebbero un beneficio quantificabile intorno ai 230 milioni di euro e in questo calcolo non ci sono il valore del ripristino e della tutela della biodiversità, il miglioramento della qualità dell’aria che respiriamo, il miglioramento della qualità per le attività turistiche e ricreative, la lotta alle specie invasive e molti altri servizi ecosistemici che sono stati persi per l’eccessivo sfruttamento del grande fiume.

Alcune associazioni agricole hanno duramente contestato la rinaturazione del Po, sostenendo che con questo progetto si “vuole annullare in un sol colpo anni di sforzi tesi al rafforzamento e allo sviluppo della pioppicoltura in Italia. Revoca di concessioni in atto ed esproprio di aree a pioppeto in proprietà o in gestione per più di 7.000 ettari lungo il fiume Po”[2].

Si tratta di un allarmismo fuori luogo: in realtà, carte alla mano, è facilmente verificabile che sono coinvolti solo 200 ettari per espropri o revoca delle concessioni e non 7.000, prevalentemente nelle aree prospicenti al fiume (fascia A), ovvero la fascia di deflusso della piena che è da restituire alle dinamiche morfologiche tipiche dell’alveo, come previsto dal Programma generale di gestione dei sedimenti (2009) dell’Autorità di Bacino del Po: un obiettivo fondamentale per aumentare la sicurezza rispetto agli eventi di piena. La pioppicoltura è ampiamente sviluppata nella fascia B di esondazione della piena, sicuramente l’area più vocata per questo tipo di coltivazione.

Le associazioni agricole, che hanno sempre ostacolato il recupero delle aree in fascia A , che è peraltro previsto dal 1994 dalla Legge Cutrera (Legge n. 37/1994), pur di piantare pioppi fin sulla sponda del fiume, stanno mettendo a rischio la loro stabilità e con essa le case e le vite di chi abita in quei luoghi: i pioppi coltivati nella fascia di deflusso della piena, infatti, a differenza ad esempio dei salici, vengono facilmente scalzati dal fiume, andando anche ad incrementare il materiale che poi tende ad accumularsi pericolosamente alla base dei piloni dei ponti.

Di fronte alla devastazione del territorio, c’è la necessità di rivedere le politiche di gestione del suolo e promuovere progetti di adattamento ai cambiamenti climatici, come questo della rinaturazione del Po, volti a garantire il nostro futuro e a non privilegiare solo alcune lobby che hanno sfruttato il fiume contribuendo all’attuale vulnerabilità a cui è esposto.

Non si può bloccare un progetto di questa importanza, ma certamente si può avviare un confronto sul futuro del nostro fiume e delle comunità che lungo esso vivono, rafforzando l’attuale progetto di rinaturazione con azioni che ne garantiscano una corretta integrazione delle attività produttive, fruitive e ricreative che insistono sul Po.

Per questo il WWF Italia intende avviare una interlocuzione con il Ministero dell’Ambiente e tutti gli organi competenti, compresa la Commissione Europea che ha messo i fondi per il PNRR, affinché il progetto di rinaturazione del Po proceda il più rapidamente possibile al fine di garantire il rispetto degli accordi presi, l’utilizzo dei fondi assegnati all’Italia, il contrasto al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità e, soprattutto, la sicurezza dei cittadini.  

[1] https://freshwaterblog.net/2022/08/18/merlin-restoration-case-studies-large-transboundary-rivers/

[2] https://www.federlegnoarredo.it/it/associazioni/assopannelli/approfondimenti-news/pioppicoltura/progetto-rinaturazione-dell-area-del-po-e-filiera-del-pioppo

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