Ogni cittadino europeo consuma in media 60 chili di soia l’anno
Nuovo studio WWF per la campagna Food4Future: il 75% della soia prodotta (340 milioni di tonnellate) è destinato alla produzione di mangimi, causando la distruzione della natura in Sud America
Non avete mai assaggiato il tofu, non siete vegani né vegetariani e forse siete convinti che la soia non sia presente nella vostra alimentazione. Non è così: chi mangia carne, pesce, uova o formaggi in realtà sta inconsapevolmente consumando una grande quantità di soia.
Commissionata dal WWF[1], la nuova ricerca intitolata “Mapping the European Soy Supply Chain” (Mappatura della catena di approvvigionamento della soia europea) evidenzia come il 90% della soia che viene consumata da noi cittadini europei non sia l’ingrediente di una ricetta, bensì un consumo indiretto dovuto alla sua presenza nei mangimi necessari per ottenere tutti i derivati delle proteine animali. La soia, infatti, è un legume ricco di proteine e rappresenta quindi un mangime concentrato ideale. Nell’ambito della campagnaFood4Future il WWF vuole sensibilizzare i consumatori sugli “ingredienti nascosti” che rendono le nostre scelte a tavola una delle maggiori cause di distruzione del Pianeta.
ll crescente consumo di carne, pesce, uova e latticini a livello mondiale ha determinato un incremento della produzione di soia, quintuplicata negli ultimi 40 anni. In particolare in Sud America le coltivazioni di soia penetrano sempre più nelle foreste e nelle savane ricche di biodiversità, che vengono trasformate in terreni coltivabili. Questo causa la perdita di specie, un notevole impatto sul cambiamento climatico e la perdita di fonte di sostentamento delle popolazioni indigene. Inoltre la soia, coltivata prevalentemente in monocolture, richiede un impiego elevato di pesticidi, che inquinano il suolo e le falde acquifere. La soia coltivata a livello mondiale è per oltre l’80% geneticamente modificata.
Il raccolto mondiale di soia ha raggiunto un volume di 340 milioni di tonnellate nella stagione 2019-2020. Ciò corrisponde a una superficie totale di 123 milioni di ettari. Il 75% di tutta questa soia è destinato alla produzione di mangimi. Oltre l’80% di tutta la soia prodotta a livello globale proviene da Stati Uniti, Brasile e Argentina, che sono anche i maggiori Paesi esportatori. La produzione di soia in Sud America è quasi triplicata negli ultimi decenni e si prevede raddoppierà ulteriormente entro il 2050. Ma il Sud America possiede 3 dei biomi più importanti per la biodiversità e il clima del Pianeta: l’Amazzonia, il Pantanal e il Cerrado. Quest’ultima regione ospita 1.600 specie tra mammiferi, uccelli e rettili tra cui animali iconici come il pappagallo ara, il formichiere, l’armadillo e il giaguaro, tutti a rischio di estinzione. A livello globale, le importazioni di soia, farina di soia e olio di soia ammontano a un totale di 238 milioni di tonnellate. I maggiori importatori sono la Cina, l’UE[2] e altri paesi asiatici.
Ogni italiano consuma ogni anno in media 219 uova, 52 litri di latte, 7 kg di yogurt, 22 kg di formaggio, 2 kg di burro, 79 kg di carne – di cui circa 37 kg di maiale, 20 kg di bovino e 21 kg avicola (prioritariamente pollo) – e almeno 2,5 kg di pesce da acquacoltura.
I cittadini europei senza saperlo stanno quindi contribuendo alla distruzione delle foreste di tutto il mondo. Secondo una nuova ricerca, ogni cittadino europeo consuma in media 60,6 kg di soia l’anno, di cui oltre il 90% (cioè 55 kg) è nascosto in carne, pesce e derivati animali. L’uso diretto della soia quale ingrediente per la nostra alimentazione ammonta invece a soli 3,5 chili l’anno.
La produzione europea di soia ha mostrato tassi di crescita considerevoli negli ultimi anni, ciononostante è ancora troppo bassa per soddisfare la domanda interna di questa coltura proteica. Se infatti la produzione interna ha raggiunto i 2,7 milioni di tonnellate nel 2020, il volume totale di soia utilizzato comprese le importazioni nette ammonta a 30,3 milioni di tonnellate di farina di soia, 1,8 milioni di tonnellate di semi di soia e 2,7 milioni di tonnellate di olio di soia. L’enorme volume di farina di soia, così come i volumi più piccoli di semi e oli, sono tutti destinati a diverse tipologie di mangimi.
In alcuni casi, come per il pollo e il salmone, la quantità di soia utilizzata come mangime è quasi pari a quella del cibo finale prodotto: sono infatti necessari 95 grammi di soia per produrre 100 grammi di salmone d’allevamento e 96 grammi di soia per 100 grammi di petto di pollo. La carne di maiale viene subito dopo, con 41,5 grammi soia per 100 grammi di carne di maiale. Anche le quote di soia incorporate nei prodotti lattiero-caseari come il formaggio e il latte in polvere sono alte.
È necessario prendere consapevolezza del peso dei nostri consumi non solo sulle foreste ma anche sulle praterie e le savane, distrutte a tassi persino più elevati delle stesse foreste, per fare spazio all’agricoltura, con conseguenti impatti catastrofici non solo sulla fauna selvatica, ma anche sul clima e perfino sulla salute umana.
L’Italia importa dall’estero il 90% della soia e il 50% del mais, materie prime utilizzate in larga parte per la produzione di mangimi per la zootecnia intensiva. Ridurre la domanda di carne e prodotti di origine animale consentirebbe di ridimensionare il comparto della zootecnia intensiva, con una riduzione del numero di animali per allevamento, e di conseguenza avere una minore necessità di produrre soia per i loro mangimi a favore di una produzione animale più estensiva, basata sul pascolo. Passare a diete principalmente basate su frutta, verdura e cereali, locali, di stagione e biologici, ha inoltre grandi benefici per la nostra salute, essendoci ormai sempre più allontanati, soprattutto i più giovani, dai principi e dallo stile di vita tipici della Dieta Mediterranea. Negli ultimi 50 anni, abbiamo perso il 68% della fauna selvatica a livello globale e il sistema alimentare mondiale ne è la principale causa. Ma la soia non è l’unica commodity che mette a rischio la salute del Pianeta: avocado, cacao, caffè e molte altre, se non di origine biologica o con altre certificazioni che ne attestino la sostenibilità della produzione, hanno spesso fortissimi impatti sugli ecosistemi in cui vengono prodotte e sulle specie.
Si sta attualmente discutendo una nuova legge per ridurre l’impronta dei consumi europei sulla deforestazione. Presentata lo scorso novembre, la proposta di legge della Commissione europea ha diversi punti di forza. Limita, però, il proprio ambito di applicazione alla protezione delle sole foreste, rimandando di almeno due anni la potenziale inclusione di altri ecosistemi. Di conseguenza, viene di fatto ignorata l’attuale espansione delle attività produttive agricole su savane e praterie, con il rischio di trasferire su questi ecosistemi tutta la pressione causata dalla produzione di soia una volta che verranno proibiti altri fronti espansivi.
“Inoltre, la lista di prodotti e materie prime stilata dalla Commissione dovrà necessariamente comprendere tutti quei prodotti la cui filiera genera distruzione delle foreste ed ecosistemi, per esempio la carne di maiale e di pollo e il mais. È quindi cruciale che i cittadini europei sollecitino i governi a difendere la natura e a sostenere una legge efficace, senza scappatoie e lacune! Una legge che includa tutti habitat e tutte le materie prime e che rispetti anche i diritti umani”, conclude Eva Alessi, Responsabile sostenibilità del WWF.
[1] La ricerca è realizzata nell’ambito del progetto WWF “Eat4Chang”, finanziato dal programma di Educazione e Sensibilizzazione allo Sviluppo (DEAR) della Commissione europea. La ricerca ” Mapping the European Soy Supply Chain Embedded Soy in Animal Products Consumed in the EU27+UK”” è stata realizzata da Profundo, un’organizzazione no-profit indipendente.
[2] Dove per UE si intende UE27+UK