La transizione ecologica ha bisogno di politiche chiare

Le discussioni sulla natura degli ambientalisti rischiano di essere un esercizio ideologico inutile

Non solo su tecnologia ma anche su stop a declino della biodiversità

Le discussioni sulla natura degli ambientalisti rischiano di essere un esercizio ideologico inutile che rischia di farci solo perdere tempo rispetto all’urgenza delle sfide che ci aspettano, in primis, quella al cambiamento climatico che già condiziona la nostra vita, come dimostrano l’estate di fuoco delle regioni meridionali e le alluvioni nel nord Europa e nord Italia.

La portata delle emergenze in atto e l’urgenza delle azioni non può ridursi ad un confronto ideologico ma deve nel concreto affrontare il problema di come favorire positivamente la transizione ecologica che è già in atto nel nostro Paese in settori quali le energie rinnovabili e l’agricoltura biologica. La storia delle grandi battaglie ambientaliste del passato merita rispetto perché ha garantito al nostro Paese di salvare parti consistenti del proprio capitale naturale, evitato il nucleare di vecchia generazione e i problemi ambientali e di sicurezza ad esso connessi, favorito l’istituzione dei parchi nazionali e contrastato lo sfruttamento indiscriminato del Mediterraneo, solo per citare alcuni dei grandi risultati ottenuti dal mondo ambientalista.

La transizione ecologica va perseguita con convinzione e con iniziative positive nel campo della conversione verde del nostro sistema economico-produttivo e individuando strumenti per la giusta transizione verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Di transizione ecologica si parla finalmente oggi dopo anni che gli ambientalisti l’hanno individuata come la soluzione e richiesta sia a livello internazionale che nazionale. Oggi la lotta al cambiamento climatico ha innescato un timer (che giorno dopo giorno accelera il proprio count down) che scandisce il tempo in cui bisogna agire con concretezza superando modelli di una vecchia economia che ha visto nei combustibili fossili (ma non solo) la sua spinta primaria. La risposta a questa sfida non può essere solo di carattere tecnologico, né ideologica.

Sono le Nazione Unite e non gli ambientalisti a documentare come in parallelo allo sviluppo delle nuove tecnologie occorra garantire politiche concrete e urgenti che limitino la perdita di biodiversità, la riduzione degli habitat, l’arresto della frammentazione dei territori e del consumo di suolo. Servono politiche di adattamento e resilienza soprattutto sul fronte dei cambiamenti climatici in atto che ancora vediamo solo enunciate.
Andiamo incontro a scadenze internazionali importanti, prima fra tutte la strategia europea per arrivare al taglio del 55% delle emissioni al 2030: ci aspettiamo dall’Italia un ruolo di leadership all’altezza delle evidenze e delle proposte condivise dagli esperti.

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