WWF: le parole di Musumeci a RaiNews24 su ambientalisti e ISPRA stupefacenti

Per il ministro della Protezione Civile e le Politiche del Mare l’inazione rispetto alle opere di adattamento al cambiamento climatico sarebbe responsabilità dell’integralismo ambientalista

La politica cerca più giustificazioni che soluzioni

Per il ministro della Protezione Civile e le Politiche del Mare l’inazione rispetto alle opere di adattamento al cambiamento climatico sarebbe responsabilità dell’integralismo di alcuni ambientalisti e addirittura dell’ISPRA, rea di essere troppo rigida nel difendere i vincoli di alcune aree.
Il WWF ritiene prezioso il lavoro svolto da tutti gli organismi tecnico-scientifici, tra cui ISPRA, e ricorda quanto inerte sia rimasta la politica – di cui il ministro Musumeci è rappresentante dalla metà degli Anni ‘70 del secolo scorso – rispetto alla piaga italiana del consumo di suolo che da anni ISPRA documenta. Ogni secondo trasformiamo, modifichiamo, cementiamo 2 metri quadri di territorio, questo significa aumento dell’impermeabilizzazione del suolo, aumento dell’esposizione ai rischi climatici che hanno aumentato i picchi di piovosità facendo saltare tutti i calcoli di portata di fiumi, torrenti e canali.

Non si ferma il consumo di suolo

La legge sul consumo del suolo prende polvere da più di un lustro nei cassetti del Parlamento e il Governo, a differenza di altri temi, si guarda bene da prendere l’iniziativa e il fatto che il piano di adattamento sia bloccato da mesi al Ministero dell’Ambiente la dice lunga. Il governo Meloni, di cui Musumeci fa parte, ha cercato di bloccare il Regolamento europeo sul ripristino della natura, elemento insostituibile e quindi indispensabile per la sicurezza del territorio.
O siamo di fronte ad un grave gap di conoscenza scientifica o inevitabilmente dobbiamo pensare che questa politica, che vorrebbe che i tecnici ubbidissero negando le proprie conoscenze e competenze, risponde ad interessi diffusi e complessi.
Alludiamo alla politica che strizza l’occhio ai condoni, che non esita a sperperare più di 14 miliardi sul Ponte sullo Stretto invece di investire in difesa del territorio, che pensa che la tutela sia un eccesso e non una garanzia. Insomma, quella politica per cui il problema è chi chiede da decenni di dare spazio e rinaturalizzare i fiumi, di liberarli dal cemento, di garantire ampie fasce di esondazione programmabile, di rispettare rigidamente le fasce di protezione, di ridurre le emissioni climalteranti. Con amarezza dobbiamo prendere atto che il nostro Paese non è solo in balia degli effetti del cambiamento climatico, ma anche di una politica che con ogni evidenza è più alla ricerca di giustificazioni che di soluzioni.

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