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Bosco Rocconi, la valle dei falchi

A Bosco Rocconi, nell’Alta Valle dell’Albegna, Riccardo Nardi è arrivato facendosi guidare da un testo del 1831, dell’ornitologo Paolo Savi. «Cercavo un posto dove avrebbe potuto nidificare il capovaccaio, un piccolo avvoltoio bianco e nero che era presente…

A Bosco Rocconi, nell’Alta Valle dell’Albegna, Riccardo Nardi è arrivato facendosi guidare da un testo del 1831, dell’ornitologo Paolo Savi. «Cercavo un posto dove avrebbe potuto nidificare il capovaccaio, un piccolo avvoltoio bianco e nero che era presente in Maremma fino ad alcuni anni fa. Quella di Savi era l’unica pista che avevo», racconta Riccardo. «Così, una sera di giugno capitai su uno sperone che sovrastava la gola del fiume Albegna. Mi stavo affacciando su una delle zone più selvagge, inesplorate e affascinanti d’Italia. Di fonte a me si innalzava una parete di roccia bianca calcarea, che contrastava con le chiome scure degli alberi, fu come scoprire le Dolomiti in Toscana. Al tramonto vidi il primo falco lanario della mia vita e mi innamorai di quel luogo».
La breve visione di questo raro rapace grigio chiaro e bianco dà la forza a Riccardo per scegliere un cambio di vita radicale. «Nel 1987 mi avevano diagnosticato il Parkinson», continua, «in quel momento facevo l’albergatore a Siena. Cominciavo a tremare, a non essere più come prima, così decisi che era il momento di realizzare il mio sogno: vivere tra i rapaci».
Nel 1994 Riccardo si trasferisce a Roccalbegna, piccolo centro immerso nei pascoli di una Maremma d’altri tempi, il più vicino possibile a Bosco Rocconi. È grazie all’impegno di Riccardo che qui viene istituita l’Oasi, un anno dopo. Il WWF, con le donazioni raccolte dalla vendita di Ficus benjamina nelle piazze d’Italia e con un considerevole contributo economico di Riccardo, acquista i primi 139 ettari di bosco e rocce, oggi più che raddoppiati grazie a successive donazioni.
«In realtà la superficie è molto più estesa, per la presenza di pareti verticali, anfratti, grotte, moltissime zone ancora oggi inesplorate, da scoprire», dice Riccardo. Nell’Oasi si possono avvistare ben sette specie diverse di rapaci, con una densità unica in Italia: oltre al lanario, di cui esistono in Toscana appena undici coppie, ci sono il biancone, il gheppio, la poiana, lo sparviero, il falco pellegrino e il pecchiaiolo. Il lanario, in via d’estinzione, è il simbolo dell’Oasi ed è a rischio soprattutto perché viene apprezzato molto dai falconieri, disposti a pagare anche 40mila euro per un esemplare.
«All’inizio, nonostante la malattia, riuscivo ancora a camminare bene. Cominciai a tracciare i sentieri, feci scoperte che mi diedero grandi emozioni. Trovai un leccio maestoso, con la circonferenza di sedici metri, sopravvissuto perché nato in un luogo troppo impervio per essere tagliato. Incontrai diverse specie di serpenti, la salamandra dagli occhiali, il tritone comune e quello crestato, ecc.», prosegue Riccardo, «e ogni anno, attorno al 20 marzo, aspetto l’arrivo del biancone, l’aquila che si ciba solo di serpenti».
L’area protetta di Bosco Rocconi attira visitatori soprattutto stranieri, americani, inglesi, tedeschi, che si spingono fin qui per vedere il lanario. «Il grande valore dell’Oasi sta nell’essere riusciti a evitare che un bosco intatto venisse cancellato, per il legname o magari per riaprire la vecchia cava di marmo rinaturalizzata», conclude.
Tutto questo, per Riccardo, ha dato un nuovo senso alla vita. (Elisa Cozzarini)

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