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Giornata mondiale della tigre

Oggi  restano appena 3890 individui in 13 paesi  In Nepal, dal 2013 a oggi, la popolazione delle tigri è aumentata del 19%, ma bracconaggio, distruzione delle foreste, commercio illegale di pelli e altre parti del corpo sono ancora…

Oggi  restano appena 3890 individui in 13 paesi 

In Nepal, dal 2013 a oggi, la popolazione delle tigri è aumentata del 19%, ma bracconaggio, distruzione delle foreste, commercio illegale di pelli e altre parti del corpo sono ancora oggi le principali minacce per il futuro del felino

Lunedì 29 luglio sarà la Giornata mondiale della tigre, una specie simbolo che però, nonostante i tanti sforzi di conservazione, ancora oggi è protagonista di un inarrestabile declino. All’inizio del secolo scorso erano circa 100mila le tigri ancora libere in natura. Oggi ne restano solo 3.890 individui, distribuiti in maniera disomogenea in 13 differenti Paesi (India, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Russia, China, Myanmar, Thailandia, Malesia, Indonesia, Cambogia, Laos e Vietnam), con un calo della popolazione stimato di circa il 97% rispetto a un secolo fa.

In India c’è la popolazione più numerosa, con 2.226 tigri censite, mentre negli altri Paesi la situazione è più grave. Tra Russia e Cina e si contano circa 450 tigri dell’Amur, una sottospecie unica ormai a forte rischio di estinzione, mentre in Indonesia sopravvivono solo circa 400 tigri di Sumatra, mentre in alcune aree si contano poche decine di individui. Secondo recenti studi è il Sud-est asiatico l’area in cui le tigri stanno soffrendo di più a causa del bracconaggio: la più grave causa del declino di questo splendido felino.

Il bracconaggio contro la tigre si fonda ancora oggi su credenze popolari alimentando un mercato illegale, legato anche alla medicina tradizionale cinese, che utilizza alcune parti del corpo del felino (come organi interni, ossa o denti) per la produzione di medicinali. Il commercio però riguarda tutta l’Asia: la medicina tradizionale cinese è usata anche in Laos, in Vietnam, in Cambogia. Solo in pochi Paesi esistono dei reali sforzi per frenare il bracconaggio, come ad esempio in Nepal e in India, dove stiamo assistendo negli ultimi anni ad un leggero aumento del numero di tigri.

In Nepal, dal 2013 a oggi, le tigri sono aumentate da 198 a 235, con un incremento della popolazione del 19%. Grazie a questi sforzi abbiamo dei timidi segnali positivi, come il dato che riporta l’aumento del numero globale di tigri dai 3.200 individui stimati nel 2010 ai 3.890 odierni.

Oltre che per l’utilizzo di sue parti nel mercato illegale, la tigre è vittima anche di un bracconaggio legato al conflitto tra il predatore e alcune attività umane, come l’allevamento e, in alcuni contesti, agli attacchi verso l’uomo stesso. Nel recente rapporto del WWF “The Way of the Tiger” si dimostra come proprio il bracconaggio sia, non solo la principale causa di morte delle tigri dell’Amur, ma anche una delle principali cause di conflitti con le attività umane. I ricercatori hanno ad esempio riscontrato che il 57% degli attacchi di tigre sugli uomini è opera di tigri ferite da colpi di arma da fuoco o trappole, mentre un restante 22% è opera di tigri malate o debilitate, anche per la scarsità di prede. Uno studio nel Sud-Est asiatico ha messo in relazione la diffusione dei bracconieri sul territorio, con il modello di occupazione dello spazio da parte delle 6 specie di Ungulati che compongono gran parte della dieta della tigre in quelle regioni. Questa ricerca ha concluso che l’incremento della presenza di bracconieri incide in maniera significativa sia sul numero che sulla distribuzione delle prede della tigre, che in molte aree è spesso costretta a rivolgere le proprie attenzioni verso il bestiame domestico. Lo studio dimostra dunque che il bracconaggio non solo uccide direttamente le tigri, ma aumenta indirettamente anche il conflitto uomo-tigre, avviando una terribile catena che si auto-alimenta.

Negli ultimi anni, per combattere la piaga del bracconaggio in queste aree, sono nate iniziative lodevoli, come SMART (Spatial Monitoring and Reporting Tool): una combinazione di software, strumenti per la formazione e protocolli per il pattugliamento del territorio, sviluppati da alcune organizzazioni impegnate nella conservazione, e finalizzati a supportare biologi e guardie nel monitoraggio degli animali, nell’identificazione delle minacce e nell’aumento dell’efficienza dei controlli anti-bracconaggio. Un’altra iniziativa che sta ottenendo ottimi risultati è la creazione dell’Asia Poaching Prevention Working Group (APPWG), una piattaforma composta da membri del WWF in Asia, che lavora nei programmi di lotta al bracconaggio e nella gestione di aree protette.

Ma la battaglia contro questi crimini e per la salvezza della tigre è ancora lunga: il rapporto “Bracconaggio Connection”, presentato dal WWF nel maggio del 2018, sottolinea come il commercio illegale di specie selvatiche produca un business che può arrivare a circa 23 miliardi di dollari l’anno, e ricorda che dal 2014 al 2016 i crimini di natura hanno avuto una crescita del 26%. Questo traffico illegale è il quarto al livello globale dopo quello di droga, traffico di esseri umani e merci contraffatte. Una tigre sul mercato illegale può valere fino a 150mila dollari.

Tra gli obiettivi del WWF c’è quello di raddoppiare gli sforzi e gli investimenti per la protezione e la gestione delle 13 zone cruciali per la riproduzione e la conservazione delle tigri (tigers landscapes), aumentare l’efficienza della lotta al bracconaggio, la pressione sui governi nazionali per la realizzazione di un piano d’azione per la conservazione della tigre e incrementare le azioni per la tutela del territorio e dei corridoi ecologici utilizzati dalle tigri per i loro spostamenti. Nel 2010 il WWF, in accordo con i governi dei tigers landscapes, ha poi lanciato un’ambiziosa sfida: raddoppiare il numero di tigri entro il 2022 (Progetto Tx2), arrivando a 6.000 esemplari. Una sfida difficilissima, che comporta forti investimenti economici ed un impegno congiunto del WWF e di altre organizzazioni per la conservazione, ma soprattutto la volontà politica dei Paesi che ospitano le ultime preziosissime tigri del Pianeta.

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