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I motivi per una moratoria delle trivellazioni

Federazione Pro Natura, Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club Italiano e WWF, presenti al sit in oggi pomeriggio davanti al Ministero sviluppo economico,  chiedono alle Regioni di opporsi alla corsa sfrenata delle trivelle nei mari italiani che, per poche…

Federazione Pro Natura, Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club Italiano e WWF, presenti al sit in oggi pomeriggio davanti al Ministero sviluppo economico,  chiedono alle Regioni di opporsi alla corsa sfrenata delle trivelle nei mari italiani che, per poche gocce di petrolio (o gas) rischia di causare danni (anche d’immagine) a economie di ben altro peso come la pesca e il turismo.
La richiesta, illustrata dalle associazioni in una nota distribuita alle regioni, è semplicemente, di una moratoria delle autorizzazioni per prospezioni, ricerche e coltivazione di idrocarburi, per almeno tre buone ragioni.
 

  1. L’art. 117 della Costituzione assegna alle Regioni importanti prerogative sia in materia di “governo del territorio” che di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”. Se allo Stato spetta il compito di dettare principi, congeniali alla tutela di esigenze di carattere unitario, nell’ottica del principio di leale collaborazione emerge la necessità di una intesa in senso forte con le Regioni. Non a caso, come precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 24 maggio 2005 n. 383, la necessità di un’intesa forte riguarda una serie di funzioni statali di amministrazione attiva, finalizzate a garantire la sicurezza energetica. Per “intesa forte” deve intendersi un atto a struttura necessariamente bilaterale, e come tale non suscettibile di essere surrogata dalla determinazione unilaterale di una delle parti, nella fattispecie, dallo Stato. Alla luce di quanto stabilito dall’art.117 della Costituzione, le Regioni devono chiedere con forza una “intesa forte” se davvero vogliono svolgere un ruolo di protagoniste nella partita delle trivellazioni offshore contestando innanzitutto l’impostazione dell’articolo 38 del decreto Sblocca Italia (dl 133/2014) che stabilisce una preminenza del governo centrale, classificando come “strategiche” le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi.

  1. Le attività di prospezione di idrocarburi sono svolte oggi in assenza di una pianificazione nazionale di queste attività e di una Valutazione Ambientale Strategica (VAS) che definisca i limiti e gli ambiti (territoriali e non solo) in cui le compagnie possono presentare le loro istanze di ricerca finalizzate all’estrazione di idrocarburi. Ne deriva che, ad esempio, sono presentate (e talvolta autorizzate) attività di prospezione con airguns (sistemi esplosivi per la definizione della struttura dei fondali) in aree di notevole importanza per la riproduzione di specie ittiche di interesse commerciale e per la tutela dei cetacei. E’ chiaro che una VAS su piani, peraltro previsti dalle norme vigenti (comma 1-bis dell’art. 1 del dl 133/2014). se ben realizzata, nel rispetto delle norme comunitarie, escluderebbe tali aree da quelle potenzialmente “trivellabili”. Le Regioni devono quindi chiedere con urgenza la  definizione di piani e la realizzazione di una Valutazione Ambientale Strategica prima che vengano autorizzate altre attività di prospezione e ricerca di idrocarburi nei mari italiani.

  1. Il recepimento della c.d. “Direttiva Offshore” (Dir 30/2013) proposto dal Governo italiano è assolutamente aberrante. Non solo (tra l’altro) si propone un comitato interministeriale invece che un “ente terzo” che garantisca la rigorosa tutela delle aree sensibili dal punto di vista ambientale e  l’imparziale regolazione dei processi di autorizzazione e dei successivi controlli ma, soprattutto, elude il cuore della direttiva stessa che insiste sull’importanza della valutazione (e prevenzione) degli “incidenti rilevanti”. Oggi, in Italia questi incidenti non vengono nemmeno presi in considerazione nei procedimenti di Valutazione di Impatto ambientale, non foss’altro che perché così impone il l’art.1 del D.Lgsl.l. 238/2005, che ha escluso dalla categoria di impianti a rischio di incidente rilevante le piattaforme petrolifere. Le Regioni devono dunque pretendere un corretto recepimento della “Direttiva Offshore”, che finalmente introduca in Italia la presenza di enti di controllo delle attività petrolifere offshore veramente autonomi e imparziali e garantisca ai cittadini che vengano svolte valutazioni di impatto ambientale delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi efficaci e realistiche, che considerino i rischi veri di queste operazioni e non, come succede oggi, le possibili conseguenze dello sversamento di qualche metro cubo di gasolio in mare.

 
In assenza di una “intesa forte” tra Stato e Regioni, della definizione di una pianificazione nazionale e di una attenta Valutazione Ambientale Strategica, di valutazioni di impatto ambientale sui singoli progetti complete e approfondite, che tengano conto delle aree sensibili per a biodiversità come previsto dalla normativa comunitaria, e  di un adeguato recepimento delle Direttiva 30/2013 (la direttiva offshore) – non deve essere possibile autorizzare o eseguire attività di prospezione e ricerca di idrocarburi nei mari italiani.

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