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Il Black Friday è alla porte, ma la natura non è scontata

Il Black Friday è ormai alle porte ed è facile imbattersi in una delle innumerevoli offerte o sconti proposti per questa nuova abituale ricorrenza. Ma al contrario di quanto accade nel mercato globale in quest’ultimo venerdì di novembre,…

Il Black Friday è ormai alle porte ed è facile imbattersi in una delle innumerevoli offerte o sconti proposti per questa nuova abituale ricorrenza. Ma al contrario di quanto accade nel mercato globale in quest’ultimo venerdì di novembre, la Natura non è scontata e per molte specie animali e vegetali, ciò che continua drammaticamente a diminuire sono le probabilità di sopravvivenza.
Negli ultimi 50 anni il nostro mondo è stato trasformato dall’esplosione del commercio globale, dei consumi e della crescita della popolazione umana, oltre che da un grandissimo incremento dell’urbanizzazione. Queste tendenze di fondo stanno portando al degrado della natura e allo sovrasfruttamento delle risorse naturali ad un ritmo senza precedenti.   

Il Living Planet Index globale (LPI) 2020 evidenzia un decremento medio del 68% delle popolazioni monitorate di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci tra il 1970 e il 2016. Un saldo che farebbe purtroppo impallidire anche i migliori sconti del Black Friday. E lo stato di salute generale degli ecosistemi non è meno drammatico: da metà dell’800, le attività umane hanno distrutto e degradato foreste, praterie, zone umide e altri importanti ecosistemi, mettendo a serio rischio la sopravvivenza di molte specie e minacciando il loro stesso benessere.  Il 75% delle aree naturali terrestre (esclusi i territori coperti dai ghiacci) è stato sostanzialmente impattato dall’uomo; le zone umide, tra gli ambienti maggiormente impattati dall’uomo in questi decenni, segnano invece una diminuzione dell’85%.

Le percentuali più drammatiche si registrano nelle aree tropicali del pianeta. Il decremento medio delle popolazioni di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci raggiunge il 45% in Asia meridionale e Oceania, il 65% in Africa, e addirittura il 94% in Centro e Sud America. Tra il 2000 e il 2018 si è registrata una forte e generale tendenza alla riduzione degli habitat disponibili per le specie, alterati dal cambiamento climatico e dalle modifiche nell’uso del suolo. Molte specie di Vertebrati sono in calo, e la situazione degli Invertebrati è anche peggiore, seppur poco conosciuta. Tra gli esempi più drammatici di specie ad elevato rischio, per le quali è indispensabile al più presto raggiungere un “saldo” positivo, ci sono Orso polare, Tigre e Elefante africano.

L’Orso polare (Ursus maritimus) è il carnivoro terrestre più grande del pianeta e una delle specie più iconiche al mondo. Nonostante questo, i cambiamenti climatici provocati dalle attività umane stanno rendendo sempre più fragile il suo habitat, minacciando la sopravvivenza degli orsi. Questi giganti dell’Artico si muovono su ampi territori per andare in cerca di cibo, ma se i trend di scomparsa del ghiaccio marino proseguiranno come negli ultimi decenni, per gli scienziati nei prossimi 35 anni rischiamo di perdere fino al 30% della popolazione mondiale. A conferma di questa terribile prospettiva, secondo l’organizzazione Polar Bear International, la popolazione di orsi nella baia di Hudson, in Canada, ha già subito una riduzione del 30% fra il 1987 e il 2017.

Al primo posto fra le minacce c’è il cambiamento climatico, ma sono molti altri i rischi che l’orso deve affrontare. Le industrie di estrazione del petrolio e del gas stanno rivolgendo i propri interessi verso l’Artico aumentando il rischio di incidenti e distruzione dell’habitat. Le fuoriuscite di petrolio possono intossicare gli orsi, avvelenando l’ambiente e le prede di cui si nutrono. Gli orsi polari sono anche esposti a sostanze chimiche tossiche come i pesticidi, assunti tramite le prede. Veri e propri interferenti endocrini, i pesticidi alterano la fisiologia della specie e la loro capacità di riprodursi. Il WWF lavora da anni per garantire un futuro a questa specie iconica. Il progetto del WWF “Last Ice Area” si riferisce a una delle zone meglio conservate dell’Artico, a cavallo tra Canada e Groenlandia, e ha l’obiettivo di gestire e tutelare l’area per il benessere e la sopravvivenza degli orsi polari e delle altre specie artiche, offrendo loro un rifugio sicuro.

Anche la Tigre (Panthera tigris), una delle più carismatiche specie bandiera del pianeta, è ancora oggi fortemente minacciata. Le residue popolazioni di tigri sono distribuite nelle sempre più frammentate foreste che si estendono tra l’India e la Cina sudorientale e dall’estremo oriente russo al Sud-Est asiatico. Mentre da un lato il bracconaggio a fini commerciali mette immediatamente a rischio la loro sopravvivenza, altre minacce come la perdita di habitat, causata dalla conversione delle foreste in piantagioni commerciali, e scomparsa delle prede naturali minacciano questo straordinario felino nel breve e  lungo termine. E il crescente conflitto tra la tigre e gli interessi delle comunità locali peggiora la situazione: dagli anni ’90 sono aumentate le uccisioni finalizzate a proteggere il bestiame, spesso con uso di veleno. Il WWF ha stimato che oltre 12 milioni di trappole stiano uccidendo la fauna selvatica nelle aree protette di Cambogia, Laos e Vietnam. La crisi del bracconaggio e del conseguente uso di trappole (che fanno strage di una grande varietà di animali) si sta diffondendo anche in uno dei più importanti territori abitati dalle tigri nel sud-est asiatico, il Belum-Temengor in Malesia, dove dal 2009 al 2018, il numero delle tigri ha fatto registrare un drammatico calo del 50%. Nell’ultimo secolo la popolazione di tigre nel mondo si è ridotta del 96%, passando dai 100.000 esemplari ai circa 3.900 odierni. Un calo drammatico, confermato anche dalla perdita del suo areale originario, crollato del 93%. In tempi storici la tigre era diffusa dalla Turchia fino alle coste russe e cinesi, e dalla Siberia orientale all’isola indonesiana di Bali. Questi areale storico si è ridotto sempre più, tanto che oggi la specie occupa solo il 7% delle aree occupate a inizio ‘900. In occasione di un “Tiger Summit” organizzato dall’ IUCN, a San Pietroburgo nel 2010, i 13 Paesi in cui vive la Tigre hanno adottato un programma globale (GTRP 2010), che mira a raddoppiare il numero di tigri in natura entro il 2022. Oggi diversi segnali mostrano come il trend di declino della popolazione di tigri abbia cominciato a invertirsi. Un dato su tutti, finalmente positivo: le tigri in Bhutan sono aumentate del 30% negli ultimi 10 anni.

Altra specie per la quale la Natura non fa sconti è l’Elefante africano (Loxodonta africana), di cui restano circa 415.000 individui. E ogni anno il bracconaggio ne uccide circa 27.000 (circa il 7% della popolazione mondiale), a causa del commercio illegale di avorio, alimentato dalla criminalità organizzata globale e incrementato dalla grande domanda proveniente dai paesi asiatici. Negli ultimi 40 anni il “saldo” negativo fa segnare una diminuzione del 70% delle popolazioni di questa specie, e solo negli ultimi dieci anni, gli elefanti africani sono diminuiti di oltre il 20%. La situazione appare ancora più drammatica se si guarda alle foreste africane: in quattro paesi dell’Africa centrale, le popolazioni di Elefante di foresta (recentemente descritto come specie a sé, Loxodonta cyclotis) sono diminuite di circa il 66% negli ultimi 8 anni. Triste primato alla Selous Game Reserve, con oltre il 90% degli elefanti sterminati negli ultimi 40 anni a causa dell’aumento del bracconaggio. Qui, la popolazione è passata dai 110.000 agli attuali 15.200 individui. La causa è da attribuire fondamentalmente ai cacciatori di frodo, che uccidono un esemplare ogni 25 minuti per le sue zanne, vendute a peso d’oro nel mercato illegale dell’avorio.
Il WWF sta sostenendo progetti in Malawi e Zambia per combattere il bracconaggio, rafforzare le aree protette dove vivono gli elefanti e sensibilizzare sull’importanza della conservazione di questa specie, oltre a lottare per un controllo più stretto dei prodotti provenienti dal commercio illegale di animali selvatici.

 Orso polare, tigre e elefante africano sono solo tre drammatici esempi, punta dell’iceberg di un fenomeno grave e diffuso. La natura, quello straordinario sistema che ci mantiene in vita, fornendoci in primis ossigeno e acqua potabile, ma anche importanti sostanze alla base di molti medicinali, è in declino a ritmi impressionanti. L’azione distruttiva dell’uomo nei confronti dei complessi equilibri dinamici della biosfera e l’intervento sugli ecosistemi possono portare a conseguenze che hanno un impatto diretto anche sul benessere umano, in particolare sulla nostra salute, come dimostrato dalla pandemia in corso.
Per contrastare questo scenario è necessario agire in fretta e con un approccio integrato sui principali fronti su cui si giocherà il nostro futuro. Dall’urgenza di far comprendere al maggior numero di persone il legame tra la salute dell’ambiente e quella dell’uomo e spronare ognuno di noi a fare la propria parte, è nata la campagna “A Natale mettici il cuore”, disegnata e realizzata in collaborazione con Accenture Interactive, con l’obiettivo di spingere le persone a regalarsi o donare ad altri, in occasione del Natale, l’adozione di una delle specie simbolo che rischiamo di perdere per sempre. Con questo semplice gesto si sosterranno i progetti di conservazione WWF, che agiscono sui 5 dei principali fronti responsabili della perdita di biodiversità: deforestazione, traffico illegale di specie, cambiamento climatico, inquinamento da plastica e da pesticidi. RDS 100% Grandi Successi è radio partner della campagna, con un progetto di comunicazione promozionale su tutti suoi canali e su RDS Next, l’innovativa social radio per la generazione contemporanea dei millennials e la generazione Z.

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