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Il consumo di bushmeat, la “carne di foresta” mette a rischio la salute umana

Per il mondo scientifico, l’uccisione illegale di animali selvatici a scopo alimentare è considerata fra le prime cause di declino delle popolazioni di specie minacciate, in particolare nei paesi in cui l’instabilità politica si riflette anche su quella…

Per il mondo scientifico, l’uccisione illegale di animali selvatici a scopo alimentare è considerata fra le prime cause di declino delle popolazioni di specie minacciate, in particolare nei paesi in cui l’instabilità politica si riflette anche su quella dei sistemi di gestione e controllo delle proprie risorse.
Il consumo di bushmeat (letteralmente “carne di foresta”) è in drammatica crescita in molte aree del mondo e mette a rischio anche la salute umana. In generale, secondo l’UNDC (Ufficio delle Nazioni Unite per Droghe e Crimini), sono 7.000 le specie minacciate dal bracconaggio e dal commercio illegale, causato anche dal commercio a scopo alimentare di carne di primati (gorilla, scimpanzé) ma anche di pangolino e di piccole antilopi.
Come sappiamo, infatti, è comprovato che il contatto con specie selvatiche come pipistrelli, civette delle palme, scimmie e altri animali (prevalentemente uccelli e mammiferi) possa portare all’insorgere e contribuire alla diffusione di gravi zoonosi. Non a caso le ricorrenti esplosioni di epidemie di Ebola sono spesso collegate al consumo di carne di scimmia contaminata.

A fine alimentare vengono cacciate le più svariate specie animali, dai rettili ai pangolini, dalle antilopi agli ippopotami, per arrivare drammaticamente alle grandi scimmie come gli scimpanzé e i gorilla. Il bushmeat viene consumato direttamente nelle foreste, ma anche trasportato nelle campagne e nelle città. Ogni anno, solo in Perù, vengono cacciate e consumate 28.000 scimmie. In Indonesia oltre a scimmie e altri mammiferi selvatici vengono catturate ed esportate 25 tonnellate di tartarughe. Secondo le ricerche realizzate dal network dell’ufficio TRAFFIC, poi, in un solo distretto del Kenya circa l’80% delle famiglie consuma in media 14,1 kg di bushmeat al mese, mentre in una zona rurale del Botswana il 46 % delle famiglie ne consuma circa 18,2 kg. Solo in Centrafrica se ne consuma da 1 a 3,4 milioni di tonnellate all’anno. Ma il bushmeat fa breccia anche nelle aree urbane, dove la carne selvatica viene preferita per il sapore. Il suo prezzo è maggiore della carne domestica e quindi sono le famiglie a reddito più alto a farne maggiore consumo.

Così come la caccia e il consumo di bushmeat, anche il commercio di fauna selvatica o di parti di essa (wildlife trafficking) e il diretto contatto con parti di animali attraverso lo scambio di liquidi, o altro, espongono l’uomo al contatto con virus o altri agenti patogeni di cui quell’animale può essere un ospite.
Lungo le strade commerciali che collegano tra loro continenti viaggiano animali selvatici di ogni tipo, amplificando potenzialmente la diffusione di patogeni. In alcuni casi le specie selvatiche vengono allevate per il commercio e al mondo esistono diversi mercati di animali vivi. La stretta vicinanza di specie diverse facilita la ricombinazione genetica tra virus diversi e con essa lo spillover, ovvero la capacità di infettare nuove specie.
Il virus della SARS – che nel 2002-2003 ha causato più di 800 morti ed è costato più di 80 miliardi di dollari a livello globale – è emerso dai pipistrelli, è passato alle civette delle palme (un mammifero viverride) e, in ultima analisi, ha infettato le persone nei mercati di animali vivi della Cina meridionale. Ugualmente, si sospetta che la recente epidemia di Coronavirus sia scoppiata in uno dei tanti mercati cinesi, dove sono in vendita animali selvatici tra cui i pipistrelli frugivori e altre specie selvatiche.
 
l WWF da sempre combatte il commercio illegale di specie selvatiche. Le Nazioni Unite hanno valutato che il business generato da questo fenomeno, che comporta la perdita di biodiversità e aumenta il rischio di pandemie, genera un indotto compreso tra i 7 e i 23 miliardi di dollari l’anno.
La recente decisione della Cina di vietare sul proprio territorio nazionale il commercio di animali vivi a scopo alimentare rappresenta una scelta di fondamentale importanza, ma ancora non sufficiente. Ancora una volta, l’uomo si trova a dover fronteggiare con colpevole ritardo una pandemia favorita dalle sue stesse azioni che avrà costi enormi sia in termini di vite umane che a livello sociale ed economico.

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