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Maglie larghe sulla pesca illegale

A rischio l’efficacia del regolamento Ue sulla pesca illegale    Le disparità e la debolezza dei controlli sulle importazioni in alcuni dei maggiori Stati membri dell’Unione Europea fanno sì che le catture illegali riescano ancora a infilarsi tra…

A rischio l’efficacia del regolamento Ue sulla pesca illegale

  
Le disparità e la debolezza dei controlli sulle importazioni in alcuni dei maggiori Stati membri dell’Unione Europea fanno sì che le catture illegali riescano ancora a infilarsi tra le maglie del sistema e a entrare nella filiera UE sono queste le conclusioni alle quali è giunta un’analisi pubblicata oggi dalla Environmental Justice Foundation, Oceana, The Pew Charitable Trusts e WWF.
L’analisi contiene un’esauriente valutazione dei progressi fatti dai Paesi nell’applicazione dei controlli sulle importazioni previsti dal Regolamento UE per combattere la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) entrato in vigore nel 2010.  Si tratta della prima analisi pubblicata dei dati presentati dagli Stati membri alla Commissione Europea e relativa all’ultimo periodo di rendicontazione, il biennio 2014-2015. L’analisi dimostra l’esistenza di problemi seri nella maniera in cui alcuni Stati membri UE effettuano i controlli sui carichi di pesce.  Per esempio, le autorità di alcuni dei maggiori paesi importatori continuano a non fare controlli rigorosi anche quando i carichi arrivano da paesi che hanno già ricevuto un avviso dall’UE proprio a causa delle inadeguate misure da questi adottate per prevenire e scoraggiare la pesca illegale. In alcuni casi, le procedure adottate dai Paesi UE sembrano insufficienti per rispettare gli obblighi di controllo minimi previsti dalla legislazione UE.

La piaga della pesca illegale. L’UE è il maggiore importatore di prodotti ittici e compra il 60% del pesce che consuma.  Nel 2015, gli Stati membri dell’UE nel loro insieme hanno importato più di 3,5 milioni di tonnellate di prodotti ittici da tutto il mondo. La pesca illegale è una minaccia dilagante per gli stock ittici mondiali e per le comunità che dipendono da questi.  Ogni anno, in tutto il mondo vengono pescate illegalmente tra 11 e 26 tonnellate di pesce con perdite annuali totali tra i 10 e i 23,5  miliardi di dollari. Le stime indicano che le catture INN globali corrispondano a un valore che oscilla tra il 13 e 31 percento della produzione ittica dichiarata.  In alcune regioni, questa percentuale arriva addirittura al 40 percento.

Migliorare il sistema dei controlli. Ogni anno, in tutta l’UE si ricevono più di 250.000 certificati di cattura (CC), la maggior parte dei quali in formato cartaceo. Lo studio, infatti, auspica procedure più armonizzate e rigorose così come l’informatizzazione – entro la fine del 2017 – dei dati contenuti nei certificati di cattura all’interno della UE, per garantire che operatori senza scrupoli non tentino di far passare le loro catture attraverso i porti nei quali i controlli sono meno stringenti. Le importazioni che entrano nella UE via container sono particolarmente a rischio per le autorità perché le procedure a queste relative non prevedono degli standard sufficientemente rigorosi.

I controlli sulle importazioni sono una pietra miliare del Regolamento per contrastare la pesca INN promulgato dall’Unione Europea nel 2010, considerato un caso di legislazione esemplare nella lotta globale contro la pesca illegale. L’analisi conferma i risultati di un recente case study pubblicato da quattro ONG che rivela che l’uso fraudolento dei certificati di cattura cartacei e la mancanza di un efficace sistema di controlli incrociati sui documenti di importazione diffuso a livello UE fanno sì che le catture illegali continuino ad entrare in UE. Come per altri importanti Stati membri, l’applicazione del Regolamento INN UE in Italia ha un impatto decisivo sugli sforzi UE per evitare che le catture illegali entrino nel mercato.

Italia a maglie larghe? L’Italia è il settimo maggiore importatore di pesce e di prodotti ittici, con un tasso di crescita medio annuale pari al 4.7% per il periodo 2004-2014.  A tutt’oggi, si riscontra però una carenza di informazioni relative alle procedure di controllo delle informazioni messe in atto dall’Italia  in virtù del Regolamento INN.
Importiamo circa 350.000 tonnellate all’anno di prodotti ittici ‘coperti’ dal Regolamento INN, piazzandoci in quarta posizione tra i paesi UE.  Nel periodo 2012/2013, l’Italia ha ricevuto 57.172 CC di importazione, risultando il quinto paese in UE. Il paese terzo dal quale importiamo più prodotti (in termini di CC di importazione convalidati) è la Thailandia: nell’aprile 2015 questo paese aveva ricevuto un avvertimento da parte della Commissione Europea per il mancato rispetto degli obblighi internazionali  nella lotta contro la pesca INN in qualità di stato bandiera e di lavorazione.  
Stando ad alcuni indicatori chiave, le procedure attuali appaiono inadeguate per identificare e bloccare i prodotti illegali alla frontiera italiana. Nel 2012-2013, l’Italia ha inviato due richieste di verifiche a paesi terzi (non-UE), pari allo 0,003% dei CC di importazione ricevuti.

“L’Italia è uno dei principali importatori di pesce all’interno dell’UE e per questo gioca un ruolo chiave nel rendere efficace il sistema dei controlli – ha detto Isabella Pratesi, Direttore conservazione del WWF Italia – . Alla luce di questa analisi è evidente il fatto che le procedure di controllo sono inadeguate per identificare e bloccare prodotti ittici illegali alle frontiere. Chiediamo al governo italiano di migliorare il processo seguendo soprattutto uno schema approfondito dei paesi più a rischio, verificando a fondo le spedizioni da questi e rifiutando qualunque consegna che desti sospetti”.          
Steve Trent, Direttore esecutivo della Environmental Justice Foundation aggiunge: “Questo studio vuole essere un campanello d’allarme per gli Stati membri affinché intensifichino gli sforzi per arrivare alla piena applicazione del Regolamento INN, e per la Commissione che deve vegliare affinché lo facciano. In particolare, invitiamo gli Stati membri ad aumentare la capacità  e ad applicare procedure standardizzate ed esaustive per garantire che i carichi illegali vengano respinti e non entrino nel mercato UE”.

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