Il Decreto Sblocca Italia, seppur corretto su aspetti secondari alla Camera, dà carta bianca agli appetiti dei petrolieri, di un’Italia trasformata in colonia per le trivelle. Ma Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia – dopo il voto di fiducia del 23 ottobre a Montecitorio e in attesa del voto finale del 30 – rilanciano la loro iniziativa apprestandosi a chiedere al Senato l’abrogazione dell’art. 38 del decreto 133/2014, appellandosi alle Regioni perché lo impugnino davanti alla Corte Costituzionale e amplificando la mobilitazione esistente sul territorio, che si oppone alla forzatura dirigistica per le valutazioni ambientali e per il rilascio di concessione uniche per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi voluta dal Ministero dello Sviluppo Economico.
Al programma di iniziative promosse degli ambientalisti aderiscono sindaci, rappresentanti delle giunte e dei consigli regionali, parlamentari locali, rappresentanti delle Camere di Commercio che, dopo aver garantito la propria presenza a bordo della Rainbow Warrior ai due incontri siciliani di Licata (il 12 ottobre) e di Siracusa (il 17), intervengono oggi lunedì 27 ottobre alle iniziative pubbliche convocate dagli ambientalisti nella Sala dei Marmi della Provincia a Pescara in Abruzzo (a partire dalle ore 10.00), nella sala del Consiglio regionale a Bari (a partire dalle ore 12.00), nella sala Inguscio della Regione Basilicata a Potenza (dalle 16.00).
In tutte le regioni interessate dalla mobilitazione di questi giorni (come anche nella Sardegna Nord Occidentale e nel Canale di Sicilia) sono l’ENI e le compagnie straniere – come la Northern Petroleum, la Petroceltic, la Global Petroleum, la Spectrum geo limited, la Geo Service Asia Pacific – a farla da padrone a mare, mentre a terra il dominio del’ENI è incontrastato nel nostro Paese, grazie a royalties che sono in Italia da 2 a 8 volte più basse che nel resto del mondo e a canoni di concessione ridicoli. Condizioni di favore per i petrolieri che consentono di mettere a rischio in Puglia zone costiere protette come Torre Guaceto o aree marine protette come le Tremiti; di porre sotto la servitù petrolifera su ¾ del territorio della Basilicata e di tenere in ostaggio il parco nazionale dell’Appennino lucano Val D’Agri, e di minacciare l’istituendo parco nazionale della Costa Teatina, con lo scellerato progetto della piattaforma e nave di stoccaggio galleggiante di Ombrina Mare.
E’ quindi la Basilicata a subire i maggiori impatti delle attività petrolifere a terra, dove dalle 3 concessioni petrolifere attive (a Gorgoglione, a Serra Pizzuta e in particolare, in Val d’Agri) proviene oltre il 70% del petrolio estratto in Italia. Le aree in concessione per l’estrazione di petrolio a terra occupano una superficie di circa mille chilometri quadrati, ma l’area ipotecata alle attività petrolifere potrebbe aumentare nei prossimi anni, se andassero in porto tutte le richieste, arrivando a coprire 2.800 kmq circa. A preoccupare ci sono anche i 29.200 kmq dei mari italiani messi sotto scacco dalle compagnie petrolifere, in Adriatico e nel Canale di Sicilia.
Il calcolo costi-benefici dell’impatto economico, sociale e ambientale dell’operazione caldeggiata dal Ministero dello Sviluppo Economico è assolutamente perdente per il Paese. L’inquinamento sistematico e il rischio di incidente mettono a rischio aree di pregio naturalistico e paesaggistico, dove si svolgono fiorenti attività economiche legate ai settori delle pesca e del turismo per cercare di estrarre petrolio di bassa qualità che potrebbe coprire, valutate le riserve certe a terra e a mare, il fabbisogno nazionale per appena 13 mesi.