L’incidente è sintomo di un ecosistema sotto pressione
La recente fuoriuscita di petrolio in Israele causata dal passaggio di una petroliera sembra aver inquinato 170 km di spiagge e scogliere, tra cui una riserva naturale. Uccelli, tartarughe marine e pesci continuano ad affiorare imbrattati di catrame, e il petrolio sversato è stato probabilmente la causa della morte di una balenottera comune la cui carcassa è stata rinvenuta a riva nei giorni scorsi. Questo sversamento di petrolio impatterà gravemente e a lungo termine un ecosistema delicato e già soggetto a forti pressioni come quello Mediterraneo, e ci ricorda la necessità di proteggere il Mare Nostrum, uno dei mari economicamente più importanti al mondo: genera infatti un valore economico annuo stimato di 450 miliardi di dollari proveniente dalle attività e dalle risorse legate al mare (vedi il report WWF Reviving the Economy of the Mediterranean Sea). Tale economia dipende però dalla salute della biodiversità e degli ecosistemi marini, che sono minacciati dal cambiamento climatico e da una crescita insostenibile: si prevede infatti che alcune attività antropiche, come l’estrazione di petrolio e gas e il traffico nautico, si espandano ulteriormente nei prossimi anni.
Il Mediterraneo ospita già circa il 15% del traffico marittimo globale, che si prevede aumenterà del 4% all’anno. La maggiore capacità del Canale di Suez ha raddoppiato il numero di navi da carico che attraversano il Mediterraneo, sempre più rotte si stanno aprendo, con navi sempre più grandi e questo significa sempre maggiori impatti ambientali: inquinamento acustico, collisioni con i mammiferi marini, inquinamento chimico e rischio di sversamenti sempre più alto. È evidente che la Blue Economy del Mediterraneo non abbia possibilità di crescere e prosperare nel lungo termine in un mare sempre più a rischio, e vada ripensata. È fondamentale ridurre l’impatto del traffico marittimo nel Mare Nostrum, per evitare le aree vulnerabili, come le aree marine protette e le riserve naturali, che sono per definizione a maggior rischio di tali impatti, nonché eliminare la dipendenza dal petrolio, responsabile come tutti i combustibili fossili dei cambiamenti climatici. Ma questo non basta, i paesi del Mediterraneo dovrebbero infatti impegnarsi a proteggere il 30% del Mare nostrum entro il 2030, in linea con un New Deal for Nature and People, per garantire la rigenerazione degli ecosistemi marini e la salute delle attività economiche che da essi dipendono.
Qui le raccomandazioni WWF per un Piano per la Ripresa Blu del Mediterraneo >>