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Serve una spending review in senso ambientale

Quella che sta finendo è stata un’estate funestata da continui eventi meteorologici estremi, in particolare da molte, successive ondate di calore, eppure per il Governo, l’opinione pubblica e gli stessi “mercati” questa non è un’emergenza, né una crisi.…

Quella che sta finendo è stata un’estate funestata da continui eventi meteorologici estremi, in particolare da molte, successive ondate di calore, eppure per il Governo, l’opinione pubblica e gli stessi “mercati” questa non è un’emergenza, né una crisi. Pure le conseguenze saranno pesanti e, se non adotteremo i provvedimenti necessari, rischiano di diventare tragiche, nel medio periodo. Questo mentre i produttori di energia e il Ministero dello Sviluppo Economico rilanciano le trivellazioni, nonché l’uso e i sussidi per i combustibili fossili, anche i più inquinanti, accecati dagli interessi di parte immediati e incuranti finanche delle conseguenze che i cambiamenti climatici avranno sulla stessa produzione di energia.
Il WWF lancia un appello perché si attui immediatamente una spending review in senso ambientale che leghi visione e piani operativi di medio e lungo periodo per la decarbonizzazione dell’economia (anche per garantire vera autonomia e sicurezza energetica con rinnovabili e risparmio energetico) e strategie di adattamento per far fronte all’emergenza climatica presente e futura, ponendo rimedio anche a problemi e carenze storici del nostro Paese (dissesto idrogeologico, perdita di acqua nel sistema, consumo del suolo e mancata programmazione del territorio, solo per fare alcuni esempi) che il cambiamento climatico rischia di esacerbare.

Serve dunque una Strategia Nazionale per il Clima che preveda un piano di azione di mitigazione (riduzione delle emissioni) e uno di adattamento, favorendo le sinergie tra le misure contenute nei due piani e l’integrazione con le normative europee in materia di acque (direttiva quadro Acque e Direttiva alluvioni) da troppi anni disattese dal nostro Paese. Infine, occorre che nell’allocazione delle risorse, il Governo consideri la Strategia per il Clima una priorità assoluta, tagliando invece tutte le spese che acuiscono i problemi (i sussidi ai combustibili fossili, vecchi, nuovi o mascherati, per esempio).

Nell’immediato il WWF chiede che si dia una forte accelerazione e priorità ai lavori sulla Strategia di Adattamento iniziati al Ministero dell’Ambiente nel febbraio scorso, rendendo nel contempo disponibili i dati sugli effetti delle ondate di calore estive per l’ambiente, le attività economiche (agricoltura prima di tutto) e salute umana. Il fatto che dati parziali non siano già stati comunicati all’opinione pubblica è il segno della grave sottovalutazione da parte del Governo e del “clima” di omertà .
Che i cambiamenti climatici siano in atto e che derivino dall’aumento delle emissioni prodotte dall’uomo è ormai un fatto certo anche sul piano scientifico (vedi scheda allegata in coda con il riassunto delle più recenti indagini scientifiche a livello mondiale) . Il clima è la tendenza di lungo periodo, non un singolo evento meteorologico: pure, gli scienziati cominciano ad attribuire con notevole livello di certezza le singole anomalie meteorologiche registrate annualmente al quadro tracciato dagli scenari peggiori che avevano tracciato sulle conseguenze dell’aumento dei gas serra in atmosfera, provocato dalle attività umane, e sul conseguente cambiamento climatico galoppante.

La fusione dei ghiacci registrato questa estate ha superato il record del 2007
(oggi la superficie dei ghiacci marini artici è di 4.10 milioni di chilometri quadrati, cioè 70.000 chilometri quadrati in meno rispetto al dato del 18 settembre 2007 che costituiva il precedente record), mentre la penisola antartica è una delle aree dove si sta registrando il più rapido riscaldamento sul nostro pianeta (le temperature medie registrate dalla Stazione meteorologica dell’isola James Rosshanno registrato un incremento di quasi 2 °C negli ultimi 50 anni).
Negli USA e in altre aree del Pianeta si è registrata una siccità catastrofica. E il Mediterraneo, in particolare l’Italia, ha visto succedersi continue ondate di calore, come numerosi studi avevano previsto, dal 4° Rapporto dell’IPCC a quello sugli impatti dei cambiamenti climatici in Europa dell’Agenzia Europea per l’ambiente (EEA), al volume del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici “I cambiamenti climatici in italia: evidenze, vulnerabilità e impatti” a cura di Sergio Castellari e Vincenzo Artale.
In particolare, lo studio dell’EEA del 2008 indica per il Mediterraneo, una delle aree a maggior rischio in Europa, le seguenti conseguenze: diminuzione delle precipitazioni; diminuzione della portata dei fiumi; incendi boschivi; minore resa delle colture; aumento della domanda di acqua per l’agricoltura; più alto rischio di desertificazione; meno energia da fonte idroelettrica; altri morti per ondate di calore; altre malattie trasmesse da vettori infettivi; minore turismo estivo; più alto rischio di perdita di biodiversità. In Italia, in una sola estate si è visto accadere tutto questo, mentre da anni assistiamo all’aumento dei fenomeni estremi anche di segno diverso (bombe d’acqua, tempeste e trombe d’aria).

La Banca Mondiale ha lanciato un allarme sulle conseguenze della siccità che flagellano molte zone del Pianeta per i prezzi degli alimenti
(in generale, il prezzo del cibo è salito del 10% tra giugno e luglio: più 25% sul prezzo del mais e più 17% su quelli dei semi di soia a causa dell’estate secca in USA, aumento del 25% del prezzo del grano per la siccità in Russia, Ucraina e Kazakhstan).
Anche i dati sulle conseguenze in Italia non sono disponibili da fonte ufficiale, al momento.
Di seguito: SCHEDA WWF ITALIA – ESTATE 2012 situazione climatica e conoscenza scientifica, compresi i dati aggiornati sulle emissioni globali e per paesi.

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO
ESTATE 2012: situazione climatica e conoscenza scientifica, con i dati aggiornati sulle emissioni globali e per paesi (a cura di Gianfranco Bologna, direttore scientifico WWF Italia).
Da decenni i climatologi hanno prodotto studi e ricerche che documentano gli effetti dell’intervento umano sul sistema climatico, con la prevista possibilità del superamento di punti critici (Tipping Points) e conseguenti potenziali effetti a cascata, estremamente pericolosi per l’umanità intera.
La situazione climatica dell’estate del 2012 ci sta fornendo ulteriori significativi segnali in questo senso.
Ciò che è accaduto e sta accadendo dovrebbe costituire uno straordinario stimolo di riflessione e spinta all’ azione per il mondo politico ed economico, in particolare ora, a pochi mesi dalla 18° Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione Quadro sui Cambiamenti climatici (visita www.unfccc.org) che avrà luogo a Doha nel prossimo novembre e che dovrebbe essere cruciale per l’avvio di un nuovo accordo mondiale sul clima, mirato a ridurre significativamente le emissioni di gas che modificano la composizione chimica  dell’atmosfera incrementando l’effetto serra naturale.
Forniamo un breve quadro riassuntivo di alcune analisi scientifiche recentissime:

1. GHIACCIAI DELLA GROENLANDIA:
Già a luglio i comunicati della NASA sulla situazione dei ghiacciai in Groenlandia (visita http://www.nasa.gov/topics/earth/features/greenland-melt.html) hanno scatenato una forte preoccupazione internazionale.
Per molti giorni nel mese di luglio la superficie di ghiaccio della Groenlandia ha subito un fenomeno di riduzione che ha interessato un’ampiezza mai riscontrata in 30 anni di analisi satellitari, tanto che numerosi scienziati non credevano ai loro occhi ed hanno fatto attente analisi e verifiche.
Addirittura in pochi giorni, dall’8 al 12 luglio, le misure derivate dai raffinati sensori di vari satelliti hanno registrato una riduzione della superficie ghiacciata della Groenlandia dal 40 al 97% che ha coinciso con la presenza di una inusuale e significativa corrente di aria calda estesasi sulla Groenlandia stessa.

2. GHIACCI MARINI DELL’ARTICO
Il prestigioso National Snow and Ice Data Center (NSIDC www.nsidc.org) ha reso noto alla fine di agosto che il livello di riduzione della superficie dei ghiacci marini artici ha raggiunto il livello più basso mai registrato.
E’ stato così sorpassato il record che apparteneva all’anno 2007. IL NSIDC fa presente che questa non può essere considerata ancora una comunicazione ufficiale che vi sarà quando terminerà il normale periodo annuale nell’ambito del quale ha luogo la riduzione della superficie di ghiacci marini artici e che collima con la fine di settembre. E’ del tutto evidente comunque la gravità del dato di fine agosto 2012 che conferma il costante declino che ha avuto luogo sin dagli inizi del mese e che, come ricordato, ha già sorpassato il record 2007.
Ad oggi la superficie dei ghiacci marini artici è di 4.10 milioni di chilometri quadrati, cioè 70.000 chilometri quadrati in meno rispetto al dato del 18 settembre 2007 che costituiva appunto il precedente record. Includendo anche quest’anno siamo al sesto anno che viene registrata la più bassa estensione di ghiacci marini artici nel periodo dal 2007 al 2012.
La calotta dei ghiacci marini nell’Artico si forma naturalmente durante i freddi inverni artici per poi ridursi quando le temperature crescono in primavera ed estate fino al periodo relativo alla metà-fine di settembre. Ma nelle ultime tre decadi i satelliti hanno registrato un declino del 13% per ogni decennio nell’estensione minima di questa superficie.

3. STUDIO DI JIM HANSEN SUI FENOMENI METEOROLOGICI ESTREMI
Il grande climatologo Jim Hansen, direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA (www.giss.nasa.gov) e professore alla Columbia University ha pubblicato un nuovo lavoro scientifico sui prestigiosi “Proceedings of the National Academy of Science” scritto insieme a Makiko Sato e Reto Rudy dal titolo “Perception of Climate Change”.
Lo studio è basato sull’elaborazione dei dati climatici reali, a partire dal 1951 e l’analisi di una loro eventuale correlazione con fenomeni di estremizzazione delle situazioni meteorologiche dovute al cambiamento climatico. I risultati della ricerca documentano che le anomalie di temperatura media stagionale si sono spostate verso temperature più elevate e la gamma delle anomalie è aumentata.
Sono stati osservati valori anomali estivi estremamente caldi, circa 3 volte rispetto alla deviazione standard di una curva gaussiana, costruita sulla base della dei dati climatologici del periodo assunto come riferimento (1951-1981).
Il caldo estremo, che ha interessato una porzione della superficie terrestre di poco inferiore all’1% nel periodo di riferimento, interessa ora circa il 10% della superficie terrestre.
Hansen, Sato e Rudy fanno presente che “possiamo affermare, con un elevato grado di confidenza, che le anomalie estreme come quelle in Texas e Oklahoma nel 2011 e Mosca nel 2010 costituiscono una conseguenza del riscaldamento globale”.

4. PENISOLA ANTARTICA
Sul numero della prestigiosa rivista scientifica “Nature” del 22 agosto è stato pubblicato un interessante studio di vari scienziati inglesi, francesi, australiani, alcuni dei quali del British Antarctic Survey (visita www.antarctica.ac.uk), primo firmatario il noto climatologo Robert Mulvaney del BAS dal titolo “Recent Antarctic Peninsula warming relative to Holocene climate and ice shelf history”.
La penisola antartica è una delle aree dove si sta registrando il più rapido riscaldamento sul nostro pianeta. Infatti le temperature medie registrate dalla Stazione meteorologica dell’isola James Ross hanno registrato un incremento di quasi 2 °C negli ultimi 50 anni.
Lo studio fornisce una dettagliata ricostruzione della storia climatica degli ultimi 15.000 anni dell’area della penisola antartica, in particolare attraverso le analisi delle carote di ghiaccio dell’isola James Ross con il rilevamento di numerosi dati che costituiscono elementi importanti da cui poter risalire alla temperatura dei vari periodi.
La storia di questi 15.000 anni dimostra periodi di temperature più alte ed altri con temperature più basse, ma da 600 anni le temperature locali vanno incrementandosi e sono seguite da un periodo di più rapido riscaldamento che ha avuto luogo negli ultimi 50-100 anni e coincidono con l’attuale situazione di disintegrazione dei ghiacci marini e del ritiro generalizzato dei ghiacciai dell’area.

5. DATI ULTERIORI SULLE EMISSIONI MONDIALI E PER I VARI PAESI
Il Joint Research Centre della Commissione Europea, tramite il suo Institute for Environment e Sustainability (IES) e la Netherlands Environmental Assessment Agency (PBL), hanno pubblicato il
rapporto “”Trends in Global CO2 emission: 2012 Report” (che è scaricabile dai siti http://edgar.jrc.ec.europa.eu/CO2REPORT2012.pdf e www.pbl.nl/en ).
Il rapporto fa il punto sulla situazione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, principale causa del riscaldamento globale, dovute all’intervento umano.
Il dato complessivo delle emissioni di anidride carbonica riportato per il 2011 è certamente preoccupante: le emissioni globali sono incrementate del 3%, raggiungendo la cifra più alta delle emissioni annuali antropogeniche sin qui prodotta, di ben 34 miliardi di tonnellate. Nel 2009 si era verificato un declino delle emissioni dell’1% e nel 2010 invece un incremento del 5%.
I maggiori paesi emettitori sono (si tratta sempre di dati del 2011) : Cina per il 29%, Stati Uniti per il 16%, l’Unione Europea per l’11%, l’India per il 6%, la Federazione Russa per il 5% e il Giappone per il 4%.
In Cina il paese più popoloso del mondo, abbiamo oggi una media di emissioni di anidride carbonica pro capite di 7.2 tonnellate. Nel 1990 era di 2.2 tonnellate pro capite, mentre la media di emissioni pro capite nell’Unione Europea a 27 paesi, era di 9.2 ed ora, al 2011, è scesa a 7.5 e, negli Stati Uniti nel 1990 era di 19.7 tonnellate pro capite scese oggi a 17.3 che fanno comunque mantenere il livello di grande emettitore di anidride carbonica a questo paese, per quanto riguarda il dato pro capite.
Vediamo, di seguito, le emissioni di altre importanti nazioni: Germania 9.2 tonn. pro capite nel 1990 e 9.9 nel 2011, Regno Unito, 10.3 nel 1990 e 7.5 nel 2011, Italia 7.5 nel 1990 e 6.7 nel 2011, Francia da 6.9 a 5.7, Polonia da 8.2 a 9.1, Spagna da 5.9 a 6.4, Olanda da 10.8 a 9.8, Federazione Russa da 16.5 a 12.8, Giappone da 9.5 a 9.8, Canada da 16.2 a 16.2, Australia da 16 a 19, Corea del Sud, da 5.9 a 12.4, Indonesia da 0.9 a 2, Arabia Saudita da 10.2 a 16.5, Brasile da 1.5 a 2.3, Messico da 3.7 a 3.9, Iran da 3.7 a 5.5, Sud Africa da 7.3 a 7.2, Tailandia da 1.6 a 3.3.
Anche per le emissioni di anidride carbonica l’obiettivo proposta dalla comunità scientifica internazionale è quello di raggiungere entro il 2050 una tonnellata, massimo 2 tonnellate pro capite annue.

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