La conservazione delle specie messa a rischio dal conflitto con l’uomo
Il conflitto con l’uomo rappresenta oggi una delle problematiche che incide maggiormente sulla conservazione di numerose specie selvatiche. Fra queste ci sono il lupo o l’orso bruno delle nostre Alpi, il leopardo delle nevi, la tigre dell’Amur in Asia o i leoni e anche gli elefanti in Africa. Il conflitto si verifica quando la presenza della fauna selvatica pone minacce dirette e ricorrenti, reali o percepite, alle attività economiche e/o all’incolumità umana.
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SOS elefante
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In tutto il mondo, il conflitto tra uomo e fauna selvatica porta a una diminuzione della tolleranza delle persone per gli sforzi di conservazione e contribuisce in misura importante ad aumentare i casi di uccisioni illegali, quindi ad alimentare i fattori che portano le specie sulla strada del declino e dell’estinzione. Il conflitto tra uomo e fauna selvatica rappresenta una minaccia significativa per la conservazione, e dovrebbe quindi essere affrontato su una scala pari alla sua importanza.
Espansione umana e scomparsa di habitat alla base degli scontri
Gli esempi sono molteplici. Alcune specie più di altre entrano in conflitto con l’uomo e le sue attività. Ad influire sulle modalità, cause e conseguenze di questo fenomeno sono il contesto culturale, sociale, economico ed ecologico. Anche se ogni caso fa storia a sé, alla base del conflitto ci sono quasi sempre espansione umana e la scomparsa di habitat e risorse naturali. La rarefazione e frammentazione di habitat naturali e l’espansione di aree cementificate o intensamente sfruttate dal punto di vista agricolo aumenta le occasioni di interazione e di incontro tra animali selvatici e uomo, e “costringe” spesso gli animali a frequentare aree dove trovare risorse fondamentali per la sopravvivenza (acqua e risorse alimentari in primis).
Altri fattori antropici come i cambiamenti nell’uso del suolo, la gestione non adeguata del bestiame, l’espansione delle pratiche agricole, il cambiamento climatico, lo sviluppo di infrastrutture e l’urbanizzazione aumentano i potenziali conflitti.
Gli esempi nel mondo
Molte specie di grandi carnivori entrano ad esempio in conflitto con gli allevatori predando il bestiame domestico non adeguatamente custodito e protetto. La problematica, pur con alcuni tratti in comune, è differente da contesto a contesto. Ad esempio, l’habitat dei leoni in Africa sta velocemente scomparendo. Ciò si traduce inevitabilmente in una minore disponibilità di prede selvatiche e in una sempre più stretta vicinanza fra leoni e persone. In assenza di interventi e misure di mitigazione, la vicinanza uomo-leone significa aumento dei conflitti e incremento delle predazioni dei leoni sul bestiame delle comunità locali. Con conseguente diminuzione dell’accettazione sociale della specie e aumento proporzionale dei casi di bracconaggio.
Problematiche simili in un contesto differente esistono sulla catena himalayana, dove vive il leopardo delle nevi. Ogni anno si stima vengano uccisi tra i 220 e i 450 leopardi delle nevi (quasi una media di uno al giorno) e il 55% di queste uccisioni è dovuto a ritorsioni per la predazione di questo felino sul bestiame. La maggior parte dell’areale del leopardo delle nevi, oggi ridotto dagli effetti del cambiamento climatico, è infatti abitata dalle comunità locali che dipendono economicamente dall’allevamento.
ll taglio legale e illegale delle foreste sta riducendo sempre di più i vasti territori in cui la tigre dell’Amur vive e caccia. La diminuzione dell’habitat e delle prede selvatiche spesso costringe le tigri a dirottare le attenzioni verso il bestiame. E questo genera ovviamente conflitti e rappresaglie. I conflitti tra uomo e tigre dell’Amur sono la principale minaccia per questa sottospecie di tigre e sono la causa dell’80% delle morti registrate. Per questo prevenire le predazioni sul bestiame domestico è una priorità per il futuro delle tigri dell’Amur.
I casi di conflitto uomo-fauna selvatica in Italia
Anche nel contesto italiano abbiamo esempi concreti in merito. L’espansione del lupo sta riaccendendo conflitti con l’allevamento “dimenticati” nell’ultimo secolo, da quando la specie era andata incontro ad una forte rarefazione a causa della persecuzione umana. Discorso simile si può fare per l’orso bruno sulle Alpi. I recenti casi di cronaca hanno riacceso il dibattito sulla possibilità di coesistenza tra uomo e orso in un contesto fortemente antropizzato come il Trentino. Conflitto con allevatori e apicoltori, ma anche scarsa conoscenza e conseguente difficile accettazione sociale da parte delle comunità locali inaspriscono un conflitto che sarebbe possibile mitigare con la diffusione di corrette conoscenze sulle buone pratiche di coesistenza e delle corrette tecniche di prevenzione dai danni provocati dai plantigradi.
Esistono altri numerosi esempi di specie selvatiche la cui salvaguardia entra in conflitto con le attività umane. E per questo occorre lavorare per la diffusione di una corretta conoscenza delle problematiche di conservazione da un lato e delle buone pratiche di mitigazione dei conflitti per costruire una reale e duratura coesistenza uomo-fauna.
Adattare e replicare gli sforzi di successo in modo più coordinato a livello globale, tenendo conto delle differenze di contesti e delle esigenze locali, è la strada per raggiungere un adeguato livello di accettazione e coesistenza tra uomo e fauna selvatica.
Il caso dell’elefante in Africa
Nel continente africano l’aumento della superficie occupata da infrastrutture e campi coltivati ha frammentato e degradato l’habitat di numerose specie selvatiche, nonché ridotto la disponibilità delle loro fonti alimentari. Proprio a causa della riduzione dei loro habitat e del loro cibo naturale, gli elefanti sono stati progressivamente costretti a un contatto più frequente e ravvicinato con i villaggi e le comunità locali con un aumento dei conflitti per lo spazio e le risorse. Le conseguenze vanno dalla razzia dei raccolti (basti pensare che un elefante necessita di 450 chili di cibo al giorno e può distruggere facilmente ettari di campi coltivati in poco tempo) ai danni provocati ai villaggi, fino alla perdita di vite umane.
A subire le conseguenze peggiori sono però quasi sempre gli elefanti: sono infatti numerosi gli animali abbattuti ogni anno, tanto dalle autorità preposte alla sicurezza quanto in vere e proprie azioni di “rappresaglia” condotte delle comunità locali esasperate dai danni subiti. Solo in Kenya nel corso dell’anno, vengono uccisi dal personale di controllo della fauna selvatica tra i 50 e i 120 individui. Anche la ricerca di fonti d’acqua, con il riscaldamento globale in atto, sta diventano fonte di conflitti. Gli elefanti spesso sono costretti ad abbeverarsi a fonti utilizzate anche dai villaggi per l’approvvigionamento di acqua potabile.
Le azioni del WWF e il sistema Safe
Negli ultimi anni il WWF sta portando avanti attività volte a mitigare il conflitto uomo-elefante. La creazione di fasce coltivate a tabacco o peperoncino nelle aree limitrofe ai campi agricoli, ad esempio, può rappresentare un’azione deterrente o la dotazione di strumenti per rafforzare le misure di sicurezza dei campi per ridurre i danni provocati delle incursioni. Le misure messe in campo fino ad ora si sono rilevate solo parzialmente sufficienti a far fronte ai conflitti, poiché condotte in maniera non coordinata e, spesso per mancanza di fondi, in maniera incostante. In merito, il WWF ha recentemente sviluppato una nuova metodologia, chiamata SAFE, già testata con successo in aree interessate dai conflitti uomo-fauna selvatica. Questa si basa su un approccio olistico che prevede la messa in sicurezza dell’intero “sistema” costituito da popolazioni locali, fauna selvatica, bestiame domestico e habitat. La metodologia ha come capi saldi l’educazione delle comunità locali e la messa a disposizione di strumenti innovativi e adeguati alla prevenzione dei conflitti. Così facendo i benefici non saranno solo per la fauna selvatica ma anche per le popolazioni, grazie alla messa a punto di una produzione più sostenibile e lo sviluppo di economie locali durature.
Fino al 21 maggio dona al 45594 e aiutaci a proteggere gli elefanti in Africa
Aiuta il WWF a salvare questa specie dall’estinzione donando dall’1 al 21 maggio al 45594 con SMS o chiamata da rete fissa per sostenere il progetto “SOS Elefante”. Il valore della donazione sarà di 2 euro per ciascun sms inviato da cellulari Wind Tre, Tim, Vodafone, Iliad, Poste Mobile, Coop Voce e Tiscali oppure dona 5 euro o 10 euro da rete fissa Tim, Vodafone, Wind Tre, Fastweb, Tiscali e Geny Communication e 5 euro per le chiamate da rete fissa TWT, Convergenze e Poste Mobile.