Oggi, 23 dicembre, a poco più di un anno dall’uccisione dell’orsa Amarena, si è aperto il procedimento presso il Tribunale di Avezzano contro l’uomo che si era autodenunciato ai Carabinieri, ammettendo la sua responsabilità per l’uccisione di animale con “crudeltà e senza necessità”.
La Giudice ha raccolto gli atti di richiesta di costituzione di parte civile delle tante associazioni che hanno chiesto che si faccia giustizia per un’orsa barbaramente uccisa a colpi di fucile nonostante non avesse mai avuto atteggiamenti aggressivi nei confronti degli esseri umani, tanto da essere diventata una sorta di simbolo per il territorio abruzzese, protagonista di numerosi video quando casualmente incrociava i centri abitati accompagnata dai suoi cuccioli.
Le differenze con il Trentino
Oltre alle associazioni di tutela degli animali, si sono costituiti anche enti pubblici quali la Regione Abruzzo, il Comune di San Benedetto dei Marsi dove è avvenuta l’uccisione e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, a testimonianza di quanto, in Abruzzo vi sia una spiccata sensibilità alla tutela degli orsi e alla convivenza pacifica con i cittadini, a differenza di quanto avviene invece in Trentino, dove il Presidente Fugatti non ha mai speso una sola parola per condannare i tanti atti di bracconaggio che nel territorio da lui amministrato hanno portato all’uccisione di almeno sei orsi e i cui responsabili restano tuttora ignoti.
Ora serve una data in tempi rapidi
“Ora auspichiamo la rapida fissazione della data di avvio del processo – commentano LAV, LIPU, LNDC, Salviamo l’orso, Rewilding Apennines e WWF – e che si arrivi a una sentenza di condanna che sia di esempio per tutti coloro che ancora ritengono lecito farsi giustizia da sé in tutti quei casi in cui le attività umane entrano in conflitto con gli animali selvatici.”
L’uomo oggi imputato si era infatti autodenunciato ai Carabinieri, ammettendo di avere ucciso l’orsa Amarena accampando motivazioni che riguardavano la sicurezza personale, ma le evidenze raccolte dagli investigatori hanno permesso di dimostrare che quando l’orsa è stata uccisa non aveva assunto alcun atteggiamento aggressivo, poiché si trovava sulle quattro zampe.
Le Associazioni chiederanno di valutare anche il grave danno ambientale procurato dall’indagato uccidendo un’orsa in età riproduttiva, facente parte di una popolazione sull’orlo del rischio di estinzione, come quella dell’orso bruno marsicano.
L’importanza di inasprire le pene
“Seguiremo ogni udienza per dare un contributo concreto e attivo perché si arrivi a una sentenza di condanna nel più breve tempo possibile – concludono le Associazioni – scongiurando il rischio di scorciatoie quali il patteggiamento o altri strumenti che possano alleggerire le responsabilità di un atto così violento ed efferato quale l’uccisione di una mamma nel preciso momento in cui stava educando i suoi piccoli alla vita. Nel frattempo, a livello nazionale, continuiamo a lavorare affinché si giunga ad un inasprimento delle pene previste per questo tipo di reati: è vergognoso che chi uccide un animale sull’orlo dell’estinzione rischi al massimo una condanna a poco più di due anni (che sicuramente non passerà in carcere) o un’ammenda inferiore al valore dell’arma con cui lo ha ucciso”.