Trappole invisibili e letali: il WWF stima che ogni anno siano oltre 12 milioni quelle piazzate nelle aree protette di Cambogia, Repubblica Democratica Popolare del Laos e Vietnam. Una cifra impressionante. In Malesia, le trappole sono la prima causa che ha fatto crollare il numero di tigri a meno di 150 individui. Dal 2016 al 2018 nel Parco del Belum-Temengor il numero delle tigri si è dimezzato. Ma anche in Italia il fenomeno è allarmante: nelle Valli bresciane e bergamasche negli ultimi 10 anni le guardie WWF hanno tolto dal territorio circa 200.000 trappole destinate ai piccoli uccelli.
Codice rosso per la natura del nostro Pianeta
È questo uno dei campanelli d’allarme più gravi che ha convinto il WWF a coniare lo slogan “Codice rosso per la natura sul nostro Pianeta” e a lanciare la campagna di sostegno “A Natale mettici il cuore”. Circa 1 milione di specie sono a rischio estinzione e i tassi di scomparsa sono tra le 100 e le 1.000 volte più rapidi di quelli naturali. E il sovrasfruttamento delle specie animali e vegetali è, dopo la perdita e distruzione degli habitat, la seconda causa del drammatico declino della biodiversità.
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A Natale mettici il cuore per davvero
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L’ultimo rapporto TRAFFIC sulle trappole letali
L’ultimo rapporto TRAFFIC “Snaring of Big Cats in Mainland Asia” pubblicato dal WWF, infatti, stima che in Bangladesh, Cina, India, Malesia, Nepal, Pakistan e Sri Lanka, fra il 2012 e il 2021 le trappole abbiano ucciso almeno 387 grandi felini, fra cui tigri, leopardi, leopardi delle nevi e leoni asiatici.
Trappole micidiali purtroppo di facile reperibilità: si possono realizzare con i cavi metallici dei freni, fili di nylon, frizioni di biciclette o corde. Materiali economici e facilmente reperibili ovunque, soprattutto per i bracconieri, che usano queste trappole letali per catturare sia piccole specie destinate ai mercati di animali selvatici, che i grandi predatori venduti illegalmente.
Facili da rimuovere, ma difficili da individuare: le trappole sono spesso nascoste da foglie e dal fitto sottobosco e in Asia rappresentano una minaccia invisibile e letale per ben 14 specie di mammiferi minacciate a livello globale, fra questi l’elefante asiatico, l’orso malese (detto anche orso del sole) e il tapiro malese.
Il laccio di acciaio di cui è fatta una trappola può rompere le ossa dell’animale in un colpo solo. Se si avvolge intorno al suo collo la vittima tenterà di liberarsi, ma più si muoverà più il laccio porterà ad una morte lenta e straziante a causa delle ferite o la farà morire di sete e fame. In India, dove vive oltre la metà della popolazione mondiale di tigri, le trappole sono causa del 59% delle uccisioni delle tigri e del 73% dei casi di mortalità dei leopardi. Che si tratti della loro pelle, di ossa o denti le tigri e gli altri grandi felini in Asia sono molto richiesti dal mercato nero, quel giro d’affari milionario che lucra sulle credenze della medicina tradizionale cinese o sugli oggetti richiesti per l’arredamento: veri e propri status symbol. Gran parte della fauna selvatica presa di mira dai bracconieri, inoltre, è identificata come quella a più alto rischio di trasmissione di malattie zoonotiche all’uomo.
Trappole all’italiana
L’Italia è uno dei Paesi europei a più alto tasso di bracconaggio come testimoniato dall’attività che ogni anno portano avanti le forze di polizia e le guardie volontarie WWF e delle altre associazioni ambientaliste.
Nonostante la legge italiana sulla tutela della fauna selvatica e la disciplina dell’attività venatoria vieti espressamente l’utilizzo di ogni tipo di sistema di cattura non selettivo, l’utilizzo di trappole e ancora molto diffuso. Questo anche a causa delle pene irrisorie cui vanno incontro i criminali. Gli uccelli sono le specie più minacciate in Italia dalle trappole, in particolare i passeriformi come i cardellini (illegalmente commercializzati per fini ornamentali) o i fringuelli, i pettirossi e altri piccoli uccelli, destinati al mercato illecito della ristorazione, a causa di piatti tradizionali in Veneto e Lombardia come polenta e osei o spiedo bresciano.
Un bilancio dei soli archetti (micidiali trappole che spezzano le zampe ai piccoli uccelli) raccolti, sequestrati o distrutti nelle Valli bresciane dai volontari WWF e delle altre associazioni impegnate nei campi antibracconaggio negli ultimi anni è di oltre 200.000 pezzi. Gli uccelli vengono inoltre catturati con sistemi tanto semplici quanto letali come gli archetti e i Sep, meccanismi a scatto che bloccano l’uccello, incastrandolo per le zampe che vengono letteralmente spezzate, dopo averlo attirato con il posizionamento di alcune esche. Un ulteriore sistema di cattura illegale consiste nel posizionamento di vischio, una sorta di colla, di cui vengono cosparsi i rami di alcuni arbusti e che imprigionano gli uccelli attirati dal posizionamento di esche alimentari.
Nell’Oasi WWF di Monte Arcosu in Sardegna con i lacci (messi dai bracconieri per la cattura di cervi e altri mammiferi) raccolti in questi anni dalle varie operazioni di bonifica è stato realizzato un “monumento” . In una sola settimana di campo antibracconaggio i volontari WWF e LIPU hanno rimosso circa 1.000 trappole illegali, 700 per la cattura di uccelli e 300 lacci per ungulati.
Altrettanto diffusa è la pratica utilizzata da bracconieri e cacciatori di frodo per la cattura di piccoli uccelli. Trattandosi di una forma tradizionale di caccia che ha portato molte specie sull’orlo dell’estinzione, in Italia è stato creato uno specifico reato: l’uccellagione. I roccoli, impianti fissi con le reti, sono stati vietati grazie alle battaglie del WWF e le altre associazioni e i ricorsi ai giudici italiani ed europei.
Non solo avifauna
Come per le tigri in India, anche in Italia una pratica molto comune consiste nel nascondere lacci creati con cavi metallici destinati alla cattura di ungulati (cinghiali, daini, cervi, caprioli) ma anche di grandi predatori come i lupi. Questa tipologia di trappole si distingue per il fatto di non provocare una morte immediata dell’animale che, dopo essere stato immobilizzato dal sistema, che di solito si stringe intorno ad una zampa, al muso o al collo, tentando di liberarsi fino allo stremo delle forze fa in modo che il laccio si stringa sempre di più fino a provocare una morte lenta e dolorosa.