Almeno 6 hot spot nel Mediterraneo
Le ultime ricerche hanno fornito una nuova visione della distribuzione della foca monaca nel Mediterraneo, il mammifero marino considerato fino a qualche decennio fa una specie condannata all’estinzione. Gli avvistamenti di questo affascinante e raro animale diventano sempre più frequenti e possibili lungo le nostre coste, specie nel periodo in cui si concentrano le attività turistiche: per questo il WWF lancia un Vademecum per diffondere un comportamento corretto in caso di avvistamento. Tra gli obiettivi: non creare disturbo alla specie e informare tempestivamente i ricercatori con gli elementi necessari all’identificazione.
Il Vademecum del WWF
Se si ha la fortuna di avvistare un animale in mare o su una spiaggia seguire i 10 punti del Vademecum WWF tra cui, come ad esempio, mantenere la distanza di almeno 50 metri senza cedere alla tentazione di avvicinare l’animale, osservarlo guardando più dettagli possibile per consentire una migliore identificazione nel contatto con studiosi e organi competenti , fare foto o video ma sempre alla giusta distanza, soprattutto se si notano graffi o altre ferite; non provocare rumori, (vocii improvvisi o abbaiare dei cani,) non tentare di toccare gli animali o intervenire anche se l’animale sembra in difficoltà.
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Vademecum per bagnanti e naviganti
Come comportarsi se incontri una foca monaca in 10 punti
Lasciare agli esperti l’eventuale decisione di intervento. Non creare nessun contatto o offerta di cibo, non toccarli se si trovano distesi sulla spiaggia per non rischiare di svegliarli bruscamente (la foca può restare in ‘apnea’ anche per diversi minuti); informare immediatamente gli esperti del Gruppo Foca Monaca (GFM) o se si vede l’animale in difficoltà contatta un centro di recupero della fauna selvatica fornendo loro tutte le informazioni rilevanti e seguendo le loro istruzioni.
I dati delle nuove ricerche
Lungo le coste italiane sono state di recente evidenziate 6 aree di grande interesse, hotspots ad alta incidenza di dati di presenza forniti da un nuovo sistema di rilevamento basato sulla ricerca del DNA ambientale (e-DNA) in campioni di acqua di mare: l’Alto Adriatico, il golfo di Taranto tra le coste della Calabria, il Salento e le coste albanesi, il canale di Sicilia tra Pantelleria e le isole Pelagie, le isole Eolie e la costa tirrenica della Calabria e le isole dell’arcipelago Toscano fino al canyon di Caprera e le coste orientali della Sardegna. La ricerca, compiuta dal gruppo di studiosi dell’Università di Milano Bicocca coordinato da Elena Valsecchi in stretta collaborazione col Gruppo Foca Monaca con un monitoraggio effettuato lungo le coste italiane e nei tratti di mari limitrofi tra il 2020 e 2021 e pubblicata su Scientific Reports , ha dato lo spunto al WWF per avviare una collaborazione con questi due enti per una vasta azione di citizen science nell’ambito della Campagna WWF GenerAzioneMare, in grado di potenziare la raccolta di campioni con l’aiuto di volontari, turisti, le community di WWF Young e WWF SUB. Si sono svolti nei mesi scorsi seminari online e incontri in presenza per consentire agli attivisti di prendere confidenza con il nuovo metodo di monitoraggio e di candidarsi per svolgere le attività di raccolta campioni e filtraggio, in coordinamento con l’Università di Milano Bicocca. La campagna estiva è già partita sia a bordo delle Vele del Panda, crociere di avvistamento dei cetacei, che in altre attività e vedrà i primi risultati di rilevamento della specie nelle aree di raccolta dal prossimo anno. La tecnologia di identificazione di tracce molecolari dell’e-DNA, a valle dei prelievi, è infatti molto complessa e necessita di laboratori specializzati. Questi dati verranno integrati con quelli derivanti da osservazioni dirette lungo le coste, sempre più frequenti. Solo tra il 2022 e il 2023 sono stati avvistati e ‘validati’, attraverso un protocollo di intervista messo a punto dal Gruppo Foca Monaca, alcune decine di avvistamenti: un esemplare adulto di foca monaca è stato ripreso da alcuni velisti nelle acque dell’isola di Capri, un altro incontrato al largo del porticciolo di Lesina nel Gargano, un esemplare di pochi mesi di vita è stato filmato da un pescatore subacqueo lungo la costa calabrese presso Vibo Valentia, mentre nell’Arcipelago toscano si ripetono gli avvistamenti anche grazie ad un sistema automatico di video controllo attivo nell’isola di Capraia.
Ma l’avvistamento diretto di un animale non è il solo dato che ‘certifica’ la presenza di questa specie in un determinato tratto di mare: la foca monaca è infatti un animale pelagico, che trascorre gran parte del suo tempo in mare aperto, tranne nel periodo di accoppiamento e riproduzione, e quindi molto difficile da avvistare. I rilevamenti effettuati con l’e-DNA rappresentano quindi un’integrazione fondamentale per la reale conoscenza della distribuzione della foca monaca nei nostri mari e che hanno il vantaggio di non creare alcun disturbo, come potrebbe avvenire, ad esempio, con la perlustrazione in grotta. Inoltre, le attività di citizen science, oltre a supportare concretamente il lavoro degli studiosi, aumentano anche il livello di conoscenza e di sensibilità delle popolazioni locali verso una specie che, per il suo valore nella biodiversità mediterranea, merita la massima attenzione da parte di tutta la comunità.
Identikit della foca monaca
La foca monaca è un animale che da sempre ha accompagnato la storia dell’uomo nel Mediterraneo: nell’Odissea viene descritta mentre riposa distesa sulla spiaggia e raffigurazioni di foche sono presenti in medaglioni, monete, mosaici. Spesso chiamata Bue marino, i segnali della sua presenza storica sono dati dai numerosi toponimi costieri che riportano questo nome. Le osservazioni di foca monaca, ai nostri giorni, sono principalmente di singoli individui o femmine con il cucciolo. Questo perché la sua vita si svolge prevalentemente in mare e sott’acqua. Nel Mediterraneo la foca è diffusa in tanti piccoli nuclei familiari con una consistenza stimata in circa 400 individui nel Mare Egeo e stime incerte di presenza in tutto il resto del bacino. Esiste una sola colonia di circa 300 individui concentrata in un breve tratto di costa atlantica tra Mauritania e Marocco. La foca raggiunge la sua maturità sessuale a circa 5-6 anni di età e a partire da questa età può dare alla luce il suo primo piccolo, in genere nel periodo autunnale. La femmina partorisce un unico cucciolo una volta l’anno e per farlo sceglie una grotta ben riparata dal moto ondoso. La dieta della foca monaca è composta da una gran varietà di pesci, come anguille, sardine, triglie e piccoli tonni, ma anche da crostacei e cefalopodi. Riesce a cibarsi sia di giorno che nelle ore notturne. Questo animale ha un comportamento particolare per riposarsi, studiato di recente: lunghi cicli di sonno composti da immersioni di alcuni minuti alternate a brevi emersioni in dormiveglia, una tecnica che le permette di riposarsi anche in mare aperto. Una foca può vivere oltre i 30 anni.
Come tutti i predatori, può soffrire dell’impoverimento del mare causato dalla pesca intensiva. Per questa specie è importante avere tratti costieri adeguati a riprodursi e allevare i cuccioli e grandi spazi di mare liberi da reti e altri attrezzi da pesca in cui può finire intrappolata. In passato la specie è stata decimata soprattutto dall’uccisione diretta favorita dalla sua scarsa diffidenza nei confronti dell’uomo e per questo avvicinata con facilità. Uccisioni a colpi di fucile o di arpione su foche gravide o neonati erano all’ordine del giorno a fine 800 e nei primi decenni del 900. Tra i motivi, oltre all’utilizzo della pelle per cosciali e cinturoni, la presunta competizione con i pescatori, quando tutte le persone munite di fucile avevano il ‘diritto’ di eliminare ogni creatura impropriamente definita ‘nociva’. Per fortuna, grazie all’avvento di una maggiore sensibilità veicolata anche dal WWF, le cose sono molto cambiate. Alcune di queste minacce persistono ancora, ma ci sono segnali incoraggianti di presenza della specie dati da crescenti segnalazioni anche nel Mediterraneo centrale.