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Durante una cena in una piccola città costiera del sud Italia, parlo con una donna che da anni lavora fianco a fianco con il marito nella pesca. Le chiedo perché le donne siano così rare a bordo delle imbarcazioni. Lei sorride e risponde con naturalezza: “Se fossi in mare, chi si occuperebbe dei bambini la notte?”

Il contributo delle donne: visibile ma non riconosciuto

La sua risposta, diretta e senza esitazioni, rivela la realtà delle donne nella pesca. Come molte altre fa parte integrante del settore, spesso gestisce la vendita, la logistica e il lavoro a terra, ma il suo ruolo nell’industria ittica è rimasto invisibile, pur essendo essenziale. Mentre suo marito affrontava le onde, lei gestiva a terra: riparava le reti, puliva il pesce, teneva la contabilità. Questi contributi invisibili hanno mantenuto in vita l’attività familiare, eppure raramente venivano registrati nelle statistiche ufficiali o persino “riconosciuti”.

I numeri raccontano una realtà sorprendente. Secondo il rapporto Women in Fisheries della Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (CGPM), meno del 4% degli occupati a bordo nella pesca marittima sono donne. Tuttavia, considerando l’intera filiera ittica, le donne rappresentano quasi il 30% della forza lavoro nel settore ittico nel Mediterraneo e Mar Nero. Questo divario evidenzia un problema fondamentale: sebbene le donne siano attivamente coinvolte nelle fasi pre- e post-cattura, il loro contributo è spesso ignorato nei processi decisionali e nello sviluppo delle politiche. Questo divario di genere non è casuale, ma il risultato di barriere culturali, sociali ed economiche.

Barriere culturali, sociali ed economiche

Uno dei motivi di questa invisibilità è che i dati occupazionali nella pesca raramente sono disaggregati per genere e spesso escludono i ruoli al di fuori del lavoro a bordo, dove le donne sono effettivamente una minoranza. Inoltre, il lavoro femminile nella pesca è spesso part-time, informale o classificato come assistenza familiare anziché come impiego riconosciuto, rendendo ancora più difficile una raccolta dati accurata.

La pesca è da sempre considerata un “mestiere da uomini”, che richiede resistenza fisica e lunghe ore in mare. Ma oltre alle difficoltà fisiche, credenze culturali e superstizioni radicate hanno plasmato i ruoli di genere nel settore. Il folklore marittimo, ad esempio, sostiene spesso che la presenza di donne a bordo porti sfortuna. Alcuni dicono che distragga gli uomini dell’equipaggio, altri che il mare—tradizionalmente personificato come un’entità femminile gelosa—si infuri alla presenza di un’altra donna.

Queste convinzioni, per quanto superate, hanno contribuito all’esclusione duratura delle donne da determinati ruoli nella pesca. Anche quando vogliono lavorare sulle barche, incontrano resistenza da parte delle loro comunità, rendendo difficile infrangere queste tradizioni radicate.

Oltre ai vincoli culturali, le barriere economiche e politiche limitano ulteriormente la partecipazione femminile. Le donne nella pesca spesso faticano a ottenere licenze di pesca, quote e accesso al credito. In molti Paesi, i diritti di pesca vengono tramandati attraverso reti dominanti maschili, lasciando alle donne meno opportunità di possedere imbarcazioni o costruire mezzi di sussistenza indipendenti.

L’importanza della visibilità

La questione non è imporre la parità di genere in mare, ma garantire che le donne che vogliono partecipare alla pesca abbiano le stesse opportunità degli uomini. Rendere visibile il loro contributo è il primo passo verso il cambiamento. Ciò significa raccogliere dati disaggregati per genere, riconoscere il valore economico dei ruoli femminili e includere le donne nelle discussioni politiche.

La pesca non dovrebbe rimanere un “territorio esclusivamente maschile”. Un settore più inclusivo avvantaggia tutti, non solo in termini di equità, ma anche di sostenibilità. Studi dimostrano che quando le donne sono coinvolte nella gestione della pesca, i risultati di conservazione migliorano. La loro profonda conoscenza degli ecosistemi marini, unita ai ruoli che svolgono nella trasformazione e nel commercio, le rende attori fondamentali per il futuro del settore.

Il cambiamento è possibile e necessario. Per aumentare la partecipazione femminile nella pesca, è essenziale implementare politiche come il Piano d’Azione Regionale per la Piccola Pesca  nel Mediterraneo e nel Mar Nero (RPOA-SSF), che include un capitolo sulla parità di genere, garantendo un accesso equo alle risorse e alle opportunità di formazione. Inoltre, riconoscere e valorizzare i contributi che le donne già apportano al settore è fondamentale per tutelarne i diritti e le condizioni di lavoro.

Attraverso il progetto Transforming Small-Scale Fisheries project, stiamo lavorando per rendere questo cambiamento una realtà. I nostri sforzi si concentrano sul supportare e rafforzare i processi di co-gestione, garantendo che i pescatori, in particolare donne e giovani, abbiano una voce legittima nelle decisioni. Dando loro il potere di essere protagonisti nella governance della pesca sostenibile, possiamo costruire un futuro più resiliente e inclusivo per i nostri mari e le comunità costiere.

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